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In Cina crolla un mito: giovani troppo "choosy"

Stakanovisti addio: milioni di laureati rifiutano di entrare in fabbrica. E la disoccupazione cresce

In Cina crolla un mito: giovani troppo "choosy"

Si sgretola il mito dei cinesi lavoratori indefessi. Dimenticate il luogo comune degli asiatici novelli stakanovisti, disposti a sgobbare per 24 ore di seguito, magari dormendo stipati in lettini sistemati dentro i capannoni industriali. Uno studio dell'Università cinese, riportato dal New York Times, racconta di una rivoluzione in atto: i 20enni laureati sono quattro volte più propensi a restare disoccupati, pur di risparmiarsi l'incubo del lavoro in fabbrica, rispetto a quelli la cui istruzione si ferma alle scuole dell'obbligo. È il caso di Wang Zengsong, 25 anni, studi accademici terminati da tre: ha fatto, saltuariamente e mal pagato, il cameriere e la guardia giurata nei centri commerciali. Ma, dice, «in fabbrica mai e poi mai: perché dovrei stare ore ed ore a svolgere una mansione tanto ripetitiva?». Domanda comune ai milioni di neolaureati nel gigante asiatico: ogni anno il loro numero si quadruplica. Gli iscritti, oggi, sono undici volte di più di quelli del 1989, ai tempi di piazza Tienanmen. «Chi studia al college si percepisce come parte di una élite», dice Mary E. Gallagher, esperta di lavoro cinese all'Università del Michigan.

Insomma, pure la Cina ha i suoi «choosy». Sempre che si possa definire così chi, dopo anni di studio, non sgomita per trascorrere la giornata alle linee di montaggio di fordiana memoria.

Per l'economia del Paese, però, è un problema: le aziende non riescono a trovare personale con le competenze necessarie. Succede persino attorno a Guangzhou, città da 15 milioni di abitanti e grande centro manifatturiero: lì si producono dalle magliette ai ricambi auto, dai tablet ai pannelli solari. La ricerca è continua, ma l'offerta cade nel vuoto. Le condizioni proposte ai nuovi assunti sono lontane da quelle cui siamo abituati quando pensiamo al «made in china». Ad esempio la Hongyuan Forniture, che produce saune da casa, ha cambiato gli alloggi per i propri dipendenti: niente più camerate da sei persone ma appartamenti per due. Stipendi alti e premi aziendali ogni mese. Eppure, agli annunci rispondono in pochi.
In compenso i neolaureati non riescono a collocarsi come vorrebbero nel mercato: a marzo scorso il primo ministro Wen Jiabao ha reso noto che «solo il 78 per cento, ad un anno dalla fine degli studi accademici, ha trovato lavoro». Perché? Scrive il New York Times che spesso gli studi prescelti forniscono competenze scarse e poco spendibili, ma intanto il possesso stesso del titolo genera la convinzione di avere diritto a una scrivania e a salari considerevoli. Università che sfornano neo disoccupati e aziende in cerca di ruoli che nessuno sembra disposto a ricoprire.

Vi ricorda qualcosa? E' proprio vero che tutto il mondo è paese.

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