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Egitto, Morsi mediatore a Gaza nei guai in casa propria

Il presidente egiziano ha raccolto una messe di successi a Gaza, per poi tentare di instaurare con un decreto una situazione dittatoriale più estesa di quella di Mubarak

Egitto, Morsi mediatore a Gaza nei guai in casa propria

In politica come nella musica ci sono delle partiture che - come diceva Paganini – non si suonano due volte. Il presidente egiziano Mohamed Morsi apparentemente non sapeva di cacciarsi nei guai col risultato della sua riuscita mediazione della tregua fra Israele e Hamas.

La sua performance nella prima "partitura" era avvenuta, quando un gruppo di terroristi – legati ad al Qaeda – aveva sfruttato il rilassamento delle misure di guardia durante il digiuno del Ramadan per uccidere dei soldati egiziani nel Sinai. Sull’onda dello sdegno provocato da questo attacco, Morsi aveva addossato la colpa all’inettitudine degli alti comandi, decapitando la dirigenza militare nominata da Mubarak. Ottenne plauso pubblico e vinse la prima mano nello scontro tuttora in corso coi militari.

Mediando la tregua di Gaza, il presidente egiziano ha raccolto una messe di successi. Ha dimostrato di essere in grado di aiutare concretamente i "fratelli" di Gaza – estensione dei Fratelli musulmani di Egitto – e di rappresentare per Washington quell’interlocutore "moderato ed efficiente" a cui il presidente Obama aveva steso la mano senza successo al tempo di Mubarak; ha riportato l’Egitto al centro della politica regionale, offuscando il protagonismo diplomatico della Turchia e del Qatar; si è garantito l’apporto finanziario americano e del Fondo Internazionale di cui il paese ha estremo bisogno; si è accordato con Israele per rinforzare la presenza militare egiziana nel Sinai.

Forte di questo successi, Morsi ha creduto di poter usare la stessa “musica” del mese di Ramadan emettendo una serie di decreti per garantire "temporaneamente" (cioè sino all’approvazione della nuova costituzione ) una situazione dittatoriale più estesa di quella del passato presidente Mubarak, eliminando l’autonomia dei giudici e rendendo inappellabili i decreti presidenziali. Era chiedere troppo e troppo presto scatenando una reazione di strada e di stampa che ha unito i suoi avversari: musulmani salafiti del partito el Nour che alle elezioni parlamentari hanno ottenuto il 35% dei seggi e denunciano lo strapotere dei Fratelli musulmani; intellettuali laici e nazionalisti; i giovani animatori della rivolta di piazza Tahrir convinti che i Fratelli avessero rubato loro la rivoluzione; i copti e almeno una parte dei militari scesi in piazza a distribuire volantini contro la “nuova dittatura”.

Morsi ha cercato di fare marcia indietro cercando il dialogo con la magistrature gelosa della sua indipendenza; ha ribadito i diritti ( soprattutto economici) dei militari “difensori della Patria”. Ma non ha potuto impedire che il sangue scorresse di nuovo nelle strade delle principali città egiziane. La tregua stessa fra Israele e Hamas è ora minacciata perché sarà difficile al presidente e ai suoi negoziatori mettere d’accordo le parti che hanno inviato i loro “ambasciatori” al Cairo per definire i dettagli dell’accordo di cessate il fuoco. (E il diavolo si sa è sempre nei dettagli).

I Fratelli musulmani si accorgono ora di fronteggiare oppositori che si sono rinforzati organizzandosi nel corso degli ultimi mesi. Il principale nodo da sciogliere per Morsi è ora quello della redazione della costituzione.

Cercherà di rinviarne l’approvazione facendo approvare solo delle “leggi fondamentali” e evitando di trattare problemi “esplosivi ” come l’uguaglianza dei diritti delle donne e dei copti. Ma la diffidenza nei suoi riguardi è ora molto cresciuta in un ambiente politico che non dispone di chiare regole del gioco politico democratico.

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