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È un errore tornare indietro dalle guerre

Quando cade un soldato si chiede il rientro delle missioni. La verità è che manca la vicinanza a quegli uomini

È un errore tornare indietro dalle guerre

La guerra è un argomento facile: si sa bene che è insopportabile, che colpisce a caso e con cattiveria, è irrazionale. Il nostro ragzzo ucciso due giorni fa avrebbe dovuto tornare a casa nell'ambito del progressivo sgombero previsto per gran parte delle truppe Isaf Nato entro il gennaio del 2014. La guerra è brutta, l'istinto più naturale è quella di voltarle le spalle specie quando uno dei nostri muore non difendendo la sua casa, la sua famiglia, ma una casa e una famiglia lontanissime, mentre su di lui e i suoi compagni si affollano insensate accuse di desiderio di dominio. Tanto più l'istinto di andarsene è prepotente quando la guerra non va tanto bene, quando si deforma rispetto ai tuoi progetti. E in Afghanistan ce n'è stato di che: i talebani seguitano a rappresentare un nemico per Karzai anche quando ci parlerebbe, egli a sua volta non avrebbe certo retto senza il deciso sostegno occidentale. Le frazioni etniche e religiose del Paese, ben più variegate di quelle dei Pashtun che rapprentano la forza centrale e l'alleanza del nord dei Tagiki, gli Uzbeki, i Hazari, beneficiari dell'intervento Nato hanno molti nemici. I talebani, una volta che sarà vicino il 5 di aprile, data delle elezioni presidenziali, si scateneranno col coltello fra i denti e avranno buoni argomenti a causa della corruzione dei governanti. Per non parlare degli appetiti del Pakistan, islamista e atomico, che lungo il confine si fa sotto e non dà tregua. E invece l'Afghanistan avrebbe dovuto, nei progetti della Nato, essere lasciato nella migliore delle condizioni per prepararsi a un futuro. Eppure, tutto questo non dice molto su questa guerra.

La missione lascerà un numero di militari fra gli ottomila e i tredicimila la cui ambizione non è davvero quella di lasciarsi dietro una nuvola di polvere, ma un'idea imbattibile, quella di una proibizione assoluta a praticare il terrorismo. La guerra combattuta in Afghanistan nasce nell'oscurità del cratere di Ground Zero, del Pentagono colpito, di un prato bruciato in Pennsylvania. Il mondo si trovò, dopo l'undici di settembre, implicato in una guerra di difesa contro il terrorismo. L'intervento in Afghanistan negò al terrorismo, con l'operazione «Enduring Freedom», il diritto a possedere un vasto retroterra, uno stato intero che fosse suo, dominato dai Talebani, in cui Al Qaida potesse stabilire lo stato maggiore. Questa operazione è riuscita, il terrorismo non ha dilagato senz'argini negli Satati Uniti né nel nostro continente, moltissime operazioni terroriste sono state bloccate, Bin Laden è stato eliminato insieme ad altri suoi dirigenti.

Oggi, anche se i talebani non sono scomparsi, c'è perlomeno una società che, con l'aiuto dei nostri militari ha la certezza che ci sono 28 Paesi della Nato, più 22 aggiunti, che ci tengono a garantire il suo sviluppo, la sua libertà, la sua liberazione dalla continua minaccia islamista.

Non dobbiamo ora diminuire il senso della magnifica dedizione con cui i nostri soldati hanno sacrificato in 53 la loro vita suggerendo ogni volta che forse era meglio non esserci. Al contrario, quello che viene da pensare è che essi non abbiano forse avuto quello che nelle guerrre è indispensabile, ovvero un sostegno ideologico continuo da parte delle società di provenienza, fossero gli Stati Uniti di Obama, o la nostra Italia dove peraltro ieri il governo ha reagito con dignità, o la Francia che ha ritirato i suoi uomini (però poi li ha mandati in Libia e vuole mandarli in Siria), che ribadisse sempre il senso profondo della presenza della Nato in Afghanistan. Intendiamo dire che la guerra al terrorismo è venuita declinando via via che ha preso il sopravvento la paura di accusare apertamente l'islamismo jihadista ovunque si è presentato, di occuparsi dell'Iran nella corretta luce che lo pone alla testa di gran parte del terrorismo internazionale, di indicare il rischio di tante nuove leadership importanti in mano ai Fratelli Musulmani...

Per placare il futuro dell'Afghanistan e garantire alla prossima missione «Resolute support», quella che resterà, di realizzare gli obiettivi di pacificazione, progresso, democrazia, la strada è tentare di modificare la corrente narrativa in senso più realista: non siamo riusciti in tutto, la democrazia non ha vinto per ora, ma la guerra al terrorismo, ai persecutori di donne, di omosessuali, di dissidenti, di odiatori professionali dell'Occidente è stata una grande ragione per andare in Afghanistan e guai a dimenticarlo.

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