Mondo

La guerra dei bambini Ora arriva l'altolà dei Paesi «esportatori» 5.000I Paesi critici

A noi, noi intesi come occidentali - ma mica a tutti, veh - sembrerà una gran cosa, un gran progresso e anche una gran conquista, il fatto che due uomini o due donne possano sposarsi e perfino adottare un bambino.
Ma contro questa tendenza, così irresistibile da trascinarsi dietro governi e gran fette di opinione pubblica, in Europa, sta nascendo una reazione così imponente, in certe nazioni extraeuropee ancora fortemente legate alla Tradizione, da far pensare a un nascente scontro epocale, a una «guerra di bambini».
Proprio così. Non un diverso modo di pensare, si badi. Perché allo scontro culturale si va legando una reazione epidermica così verticale, così visceralmente legata al modo di sentire di certi popoli, da innescare tensioni, e sofferenze, e disequilibri (anche nella bilancia dei pagamenti) di cui al momento pare difficile valutare la portata. Ecco per esempio il caso della Turchia, dove il premier islamico Recep Tayyip Erdogan ha lanciato un'offensiva diplomatico-legale per ottenere la restituzione dei bimbi di origine turca dati in affidamento in Europa a «famiglie cristiane», iniziando da quelli andati a coppie omosessuali.
Ora, è abbastanza evidente che la fede di appartenenza non c'entra un fico, essendo evidente fin dalle prime pratiche di adozione la discrepanza, per così dire, tra religione «di partenza» e religione «di arrivo». Non a caso, la puntuta presa di posizione del governo turco nasce da una vicenda specifica, dove ad assumere un peso dominante è l'orientamento sessuale, mica quello religioso, della coppia in questione.
È la «famiglia lesbica», per dirla con le parole del vice primo ministro turco, alla quale è stato affidato all'età di sei mesi, in Olanda, il piccolo Yunus, che ai turchi non va giù. Sono queste due «lei», invece di un «lui» e di una «lei», come si è sempre usato tra il Bosforo e l'Anatolia, ad aver fatto nascere il caso. Ragion per cui il vicepremier di Ankara, Bekir Bozdag, ha incaricato l'ambasciata in Olanda di sferrare un'iniziativa legale per «recuperare» alla madrepatria il piccolo Yunus.
E già che c'era, visto che l'adozione da parte di coppie omosessuali sta diventando moda, ha allertato le ambasciate di tutta Europa ordinando ai capi missione di attivarsi per la restituzione dei bambini colà residenti - qualcosa come cinquemila bambini, si calcola - alle famiglie turche d'origine.
Qualcosa di analogo sta accadendo in India, dove secondo un recente orientamento del governo di Nuova Delhi, non ancora legge, sarà vietato il fenomeno delle madri «surrogate», ovvero degli uteri in affitto. Ma anche qui, guarda caso, il divieto riguarda coppie gay, donne e uomini «single», coppie non sposate e coppie nel cui Paese d'origine l'affitto degli uteri non è consentito.
Le nuove regole, che presto saranno rese obbligatorie, prevedono che gli stranieri intenzionati a servirsi di una «madre surrogata» indiana devono essere «un maschio e una femmina» regolarmente sposati «da almeno due anni».
Una rivoluzione in piena regola, visto che ogni anno 25 mila coppie straniere vanno in India per dotarsi di un erede (duemila circa le nascite all'anno) dando vita a un'«industria» che il Times of India valuta in 2 miliardi e mezzo di dollari.
Ma c'è qualcosa, in questo commercio di carne umana, che anche in India comincia a destare disagio, insofferenza, rifiuto infine. E il fronte del «no» alla moda del «un bambino a chiunque, in cambio di dollari», rischia di allargarsi. Perché non ci sono solo i dollari che contano, in fin dei conti.


I bambini turchi adottati in Europa da coppie omosessuali che il governo di Ankara rivuole indietro


«Non date i nostri figli a famiglie cristiane e a coppie omosessuali», è la campagna del governo di Erdogan


Mosca ha bloccato con un'apposita legge le adozioni di bambini russi da parte di cittadini degli Stati Uniti


Per limitare il fenomeno delle madri surrogate, potranno ricorrervi solo coppie uomo-donna sposate da almeno 2 anni

Commenti