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L'America si ferma, Obama furioso

Al Congresso nessun accordo sul bilancio. Ritardi negli aeroporti, chiude perfino la Statua della libertà

L'America si ferma, Obama furioso

«Lo shutdown è una cosa ingiusta ed evitabile, che non doveva succedere. Una crociata ideologica repubblicana: ma io non cederò ai ricatti». Il presidente Barack Obama ha accusato pubblicamente l'opposizione degli effetti del mancato raggiungimento di un accordo in extremis al Congresso, dopo che ieri a mezzanotte ora di Washington il temuto shutdown (il blocco dei fondi conseguente alla mancata approvazione in tempo utile del bilancio dello Stato) è arrivato a paralizzare le attività federali e di governo statunitensi. In pratica, nel primo giorno del nuovo anno fiscale, gli americani si sono svegliati con una pubblica amministrazione ridotta ai servizi essenziali mentre 800mila dipendenti federali sono dovuti restare a casa senza retribuzione dopo che le agenzie per le quali lavoravano non hanno avuto altra scelta che dichiarare la sospensione delle attività.

Gli effetti concreti sono numerosi, sconcertanti e a volte impressionanti. Si va dal blocco degli uffici pubblici alla chiusura di musei, monumenti (anche celebri, come la Statua della Libertà a New York) e parchi nazionali, dai ritardi negli aeroporti alle difficoltà nell'ottenimento dei visti, dalla riduzione delle attività negli ospedali pubblici al mancato (e volutamente polemico) aggiornamento del sito della Casa Bianca.

Causa di tutto questo e di molto altro, come è noto, è il braccio di ferro tutto politico tra i due partiti che si combattono sulla scena americana. I repubblicani, che controllano la Camera, si sono rifiutati di votare un bilancio che prevedeva l'attivazione della riforma sanitaria voluta dal presidente Obama, che per loro rappresenta una sorta di tradimento dello spirito americano, e hanno cercato fino all'ultimo di imporre ai democratici un negoziato formale sull'«Obamacare»: se la riforma sanitaria fosse stata modificata e la sua applicazione rinviata di un anno, lo shutdown si sarebbe potuto evitare. Ma Obama ha respinto l'offerta-ricatto e al Senato - che è invece controllato dai democratici - è prevalsa la linea dura del rifiuto della bozza che la Camera aveva approvato. Così, ed è un vero paradosso, ieri gli americani si sono trovati impantanati dallo shutdown, ma Obamacare è partita lo stesso puntualmente. I cittadini hanno cominciato ad accedere ai nuovi siti web aperti nei 50 Stati, i cosiddetti exchange sanitari, per paragonare e acquistare polizze di assistenza caratterizzate da minori costi e miglior copertura rispetto al passato e con sussidi pubblici per i redditi più bassi. La scelta dei repubblicani di andare fino in fondo nella loro guerra a Obamacare non sembra tra l'altro incontrare il favore dell'elettorato. I sondaggi mostrano che tre americani su quattro disapprovano la radicalizzazione dello scontro che ha condotto allo shutdown, e perfino tra gli stessi repubblicani solo una risicata maggioranza la sostiene.

Se i disagi provocati dalla «chiusura» dello Stato sono spiacevoli, ben più preoccupante appare però la prospettiva di un mancato accordo politico entro il 17, quando si esauriranno le misure straordinarie per onorare il debito. Quel giorno gli Stati Uniti tecnicamente fallirebbero e sarebbero guai grossi.

Guai che già denunciano angosciati sia esponenti dell'Amministrazione (per il portavoce della Casa Bianca Jay Carney «i repubblicani mettono in pericolo l'economia da cui dipende il sistema economico mondiale», e per segretario alla Difesa Chuck Hagel «la nostra credibilità presso gli alleati è minata») sia gli operatori economici americani ed europei, che temono il soffocamento in fasce della ripresa.

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