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Libia, blitz in Parlamento: 20 deputati in ostaggio

L'attacco del gruppo paramilitare del generale Haftar. C'è chi grida al colpo di Stato

Libia, blitz in Parlamento: 20 deputati in ostaggio

Nel gran caos della Libia, è improvvisamente spuntato un occhialuto generale in pensione, Khalifa Haftar, che in nome di un sedicente movimento «Dignità della Libia» e alla testa di un «Esercito nazionale libico» composto per ora da duecento uomini, un elicottero e un paio di aerei, ha deciso di «ripulire il Paese dai terroristi». Il suo primo obbiettivo sono stati due movimenti estremisti islamici della Cirenaica, il Rafallah el Sahati e il 17 febbraio, presunti responsabili dell'assassinio di duecento tra poliziotti, magistrati e cittadini stranieri avvenuti a Benghasi nell'ultimo anno: risultato, 80 morti e 141 feriti. Il secondo, molto più significativo, è stato il Parlamento di Tripoli, assalito ieri sera con una colonna di blindati provenienti dall'aeroporto. Un blitz con un morto e nove feriti in cui almeno venti deputati sarebbero stati portati via dagli assalitori. Il governo centrale di Tripoli ha accusato Haftar di colpo di stato, e di «sfruttare l'aumento della violenza per interesse personale», ma gli unici provvedimenti che è stato finora in grado di prendere sono una fantomatica «no fly zone» sul capoluogo della Cirenaica e il divieto alle truppe regolari a intervenire (probabilmente per timore che si uniscano ai reparti del generale). «Del resto» ha ironizzato un diplomatico occidentale a Tripoli «come si può fare un colpo di Stato contro uno Stato che non esiste più?».
Hifter è un personaggio un po' misterioso: schierato contro Gheddafi durante la rivolta di tre anni fa, originariamente vicino agli islamisti, fondatore di un partitino che non ha ottenuto neppure un seggio al Parlamento, se ne è andato in esilio volontario in America dove- secondo voci non confermate - avrebbe preso domicilio a pochi chilometri dalla sede della Cia a Langley. Rientrato in Libia all'inizio di quest'anno, è già stato coinvolto in una rivolta contro il potere costituito in febbraio, risoltasi in nulla. Adesso ci sta riprovando, assicurando di non cercare il potere ma di puntare solo a riportare l'ordine in un Paese in cui i poteri del governo si fermano a pochi metri dal Palazzo e, a causa del caos provocato dall'esistenza di 170 diverse milizie l'una contro l'altra armate, la produzione petrolifera, unica fonte di entrate, è precipitata da 1,5 milioni a 250-300 mila barili l'anno. In questo quadro, appare assai significativo che il generale, rifiutando l'etichetta di golpista, abbia chiesto l'aiuto internazionale per «rimuovere il cancro del terrorismo dalla Libia».
Potrebbe diventare, Haftar, l'uomo forte che riprende il controllo di una situazione sfuggita di mano a tutti, come dimostrano non solo il crollo dell'estrazione degli idrocarburi, la fuga delle imprese straniere (negli ultimi mesi ci sono stati anche i rapimenti di tre lavoratori italiani) ma anche le incontrollate partenze di massa dai suoi porti di profughi africani diretti in Italia? Nelle cancellerie occidentali, e nelle grandi compagnie petrolifere, molti sicuramente se lo augurano, anche perché in seguito alla crisi ucraina le forniture di gas e di greggio dalla Libia sono tornate ad essere più importanti. Ma, per adesso, non è chiaro se l'Esercito nazionale libico, cui probabilmente si aggregheranno altre forze, riuscirà nel suo obbiettivo primario di domare gli estremisti islamici di Benghasi e, successivamente, di estendere la sua azione al resto del Paese. Non è chiaro neppure se «l'aiuto internazionale» invocato ci sarà, e, se mai, da chi verrà.


Ma la situazione di anarchia era diventata insostenibile per tutti, e la iniziativa di Haftar significa senz'altro che qualcosa ha cominciato a muoversi.

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