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L'India riscrive la storia: essere gay torna reato

La Corte Suprema di New Delhi ha ripristinato il reato di omosessualità, allineando l'India ad altri 69 paesi dove il gusto sessuale non canonico viene punito con il carcere se non addirittura, come accade in alcune aree dell'Africa nera, con la pena di morte. Di fatto è stata annullata la sentenza del 2009 con cui l'Alta Corte di New Delhi aveva depenalizzato i rapporti fra adulti consenzienti dello stesso sesso e ha affermato che spetta solo al Parlamento modificare la legislazione su questa materia. Resta quindi in vigore quanto stabilito dal codice penale ottocentesco, risalente alla dominazione coloniale britannica, che definisce l'omosessualità «un comportamento contro natura» punibile con una multa e la detenzione fino a 10 anni.
La sentenza era attesa da oltre un anno e mezzo, ma è arrivata nell'ultimo giorno di lavoro del giudice che l'ha emessa, Govind Sadashiv Singhvi, 65 anni, che oggi festeggia in un colpo solo compleanno, pensione e qualche ripensamento. Singhvi infatti ha confidato ad alcuni colleghi di aver ricevuto minacce di morte, il suo giudizio quindi potrebbe essere stato influenzato, come per altro sostiene Arvind Narayan, avvocato dell'associazione per i diritti dei gay in India.
In attesa di nuovi sviluppi, e di battaglie a colpi di carte bollate, preoccupa l'innalzamento a livello globale dell'asticella dell'intolleranza. Settanta paesi su 204 nazioni indipendenti sono numeri reali: un terzo del mondo considera l'omosessualità un orientamento aberrante. Il cuore dell'intolleranza è il continente africano, dove la diversità viene sovente apostrofata con espressioni sprezzanti del tipo «malattia dei bianchi», «devianza sessuale» o addirittura «aberrante importazione dall'Occidente». L'amletico dubbio si pone tra due aspetti: delitto o malattia? L'Africa dimostra quindi di non essere al passo coi tempi, anche se l'Organizzazione mondiale della sanità non considera più l'omosessualità una patologia solo dal 1992.
D'altro canto alcune leggi restrittive sono state importate dagli ex colonizzatori, in particolare da inglesi e francesi. Un'eredità negativa che spiega i motivi per cui buona parte dei paesi africani dispone di leggi che criminalizzano gay e lesbiche. Si è smarcato di recente il Malawi, un tempo famoso per il vergognoso lavoro minorile nelle piantagioni di tabacco, ma oggi mosca bianca agile nell'inserire un importante tassello verso il riconoscimento dei diritti delle persone. «Omosessuali, donne e giovani saranno sempre al primo posto nella mia agenda politica», spiega la signora Hilda Banda, 62 anni, presidente della Repubblica dalla primavera del 2012. Demagogia? Sarà il tempo a stabilirlo. Anche se il governo del Malawi ha preso le distanze da tanti vicini di casa, dove invece le vessazioni sono all'ordine del giorno.
Tra i più intolleranti il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, che non perde occasione per esprimere la propria omofobia in pubblico. In buona parte dei paesi dell'Africa equatoriale (Togo, Benin, Ghana e Camerun su tutti) gli alberghi hanno il divieto di riservare camere a due o più persone dello stesso sesso. In Marocco la pena prevista è di tre anni di prigione. In Burundi gli omosessuali perdono persino il diritto di voto, oltre a quello sanitario, già di per sé molto fragile. Senza contare le case di cura, sparse soprattutto nel Maghreb. Retaggio di una cultura non colonialista, ma adottata dai paesi arabi, Qatar in testa.

La nazione che nel 2022 ospiterà i mondiali di calcio, e il cui emiro vorrebbe vestire i panni del «Kissinger mediorientale», ha inaugurato nel 2011 a Doha due centri per «curare l'omosessualità».

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