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Madrid-Barcellona diventa un derby politico

Per le dimissioni del presidente del club catalano tirato in ballo l'ex premier Aznar

Si dice che ai tempi della dittatura di Franco il Real Madrid fosse l'unico emblema vincente da esportare. Sono trascorsi 12 anni da quando le merengues hanno vinto la loro ultima Champions League, 12 anni spesi nel tentativo di trasformare un album di foto quasi ingiallite nello specchio della nuova vittoria annunciata. A Madrid però devono come al solito fare i conti con il Barcellona, che non è solo una squadra, ma come recita l'inno (Més que un club) è lo specchio del sentimento separatista della Catalogna. Un desiderio che non ha perso vigore dopo la caduta del franchismo, anzi, negli anni si è rafforzato diventando quasi un'ossessione alimentata dal referendum che si terrà il 9 novembre 2014. La domanda verrà divisa in due parti: «Volete voi che la Catalogna sia uno Stato?» e «In caso affermativo, volete voi che la Catalogna sia uno Stato indipendente?».

In attesa di un quesito dall'esito scontato e che ha tutti i contorni di una dichiarazione di sovranità, oggi la ragione del contendere, in una nazione che fatica a risollevarsi dalla crisi economica, con un debito pubblico di 942,8 miliardi di euro, è la cifra reale (non Real) girata dal Barcellona al Santos per assicurarsi le prestazioni dell'asso brasiliano Neymar. I sospetti sono stati tirati fuori dal socio del club catalano Jordi Cases, che in un non meglio precisato attacco al palazzo ha denunciato il suo presidente aprendo la crisi societaria. L'inchiesta ha provocato le dimissioni del numero uno blaugrana Sandro Rosell, sostituito su indicazione del consiglio d'amministrazione da Josep Maria Bartomeu.

A Madrid nel frattempo i tifosi blancos se la ridono, arrivando persino a giocarsi sulla ruota di Barcellona il 57 e il 95. Il primo numero corrisponde ai milioni di euro dichiarati nell'operazione d'acquisto di Neymar, l'altro invece è relativo ai soldi spesi per portare a termine la trattativa, con una differenza di 38 milioni (altro numero da giocare...) di vera e propria «cresta». Bartomeu, a digiuno di arte della diplomazia, nella sua prima uscita ufficiale ha sparato a zero sul Real Madrid, accusando il club di Florentino Perez di essere dietro al caso Neymar, e c'è chi tira in ballo nientemeno che l'ex premier Josè Maria Aznar. «Da quelle parti si fa fatica a digerire il dominio di questi anni del Barcellona. Visto che non vincono sul campo, sembra che vogliano vincere negli uffici».

Nella querelle non trionfa certo la Spagna, non intesa come Furie Rosse pluridecorate. La crisi, che ha generato 4,8 milioni di disoccupati, non frena le spese scriteriate dei due club. Ammettendo che il Barcellona abbia davvero pagato 95 milioni Neymar è altrettanto acclarato che il Real in estate per portare a casa Illarramendi, Isco e Bale di milioni ne ha scuciti ben 183. Gli altri non stanno certo a guardare.

Il «cattivo esempio» ha rovinato un club storico come il Valencia (che non sa come chiudere un cratere da oltre 350 milioni di debiti), mentre Atletico Madrid, Siviglia e Malaga hanno bruciato 140 milioni per assicurarsi (forse) un posto sulla scia delle due contendenti che rappresentano le due anime di un Paese che, per dirla alla Almodovar, vive al borde de un ataque de nervios.

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