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Le mille morti di Gorbaciov l'uomo più odiato dai russi

Le mille morti di Gorbaciov l'uomo più odiato dai russi

Per poco più di sei anni, tra il 1985 e il 1991, fu uno dei due uomini più potenti del mondo. La sua parabola, cominciata con la non immatura scomparsa dell'ultima mummia della gerontocrazia sovietica Konstantin Cernenko, conobbe momenti di grande gloria (soprattutto in Occidente) ma si concluse miseramente nel giro di pochi mesi tra un colpo di Stato tragicomico e l'incredibile ammainabandiera sul Cremlino del 25 dicembre. Oggi Mikhail Gorbaciov ha 82 anni e una salute un po' traballante che lo costringe a frequenti visite all'ospedale. Da oltre vent'anni, quando l'Unione Sovietica finì insieme con lui nei libri di storia, è un ben pagato e riverito consulente-conferenziere dalle nostre parti, ma al tempo stesso è anche il bersaglio preferito del disprezzo dei suoi connazionali.
Al vecchio «Gorby», come amavano vezzeggiarlo i media occidentali, i russi non perdonano non tanto la fine dell'Urss (sono in pochi a rimpiangere uno Stato di polizia corrotto e miserabile) bensì quella della superpotenza che teneva testa all'America e imponeva la sua dura legge su mezza Europa. Cosicché, quando ciclicamente si diffonde la notizia (regolarmente falsa) della sua morte, la Rete si riempie dei miasmi degli insulti, quasi tutti anonimi.
È successo anche in questi giorni. Mercoledì scorso l'agenzia ufficiale russa ha annunciato la scomparsa di Gorbaciov sul suo microblog in lingua tedesca e via Twitter. Un incidente imbarazzante per la Ria-Novosti, che ha dato la colpa a degli hacker e si è rivolta per le dovute indagini alla polizia segreta, mentre l'ex presidente dell'Urss preferiva rendere noti i suoi recenti (e ancora buoni) esami clinici e rispolverare la «lingua di legno» della sua epoca per accusare oscuri «circoli politici» di complottare contro di lui.
Ben più imbarazzante (per Gorbaciov, tuttora convinto che i russi non possano che ringraziarlo per la sua azione politica) il contenuto dei messaggi di commento subito piovuti in gran numero per il paio d'ore in cui è stato possibile farlo prima che il sito venisse chiuso. La parola più utilizzata è stata di gran lunga «traditore». Se qualcuno si è limitato alle tipiche accuse di essersi «venduto per trenta denari agli americani» e di essere diventato così «più ricco dell'oligarca Abramovich», molti hanno dato la stura al turpiloquio e alle ingiurie più sanguinose: «Che peccato che non sia morto davvero», scrive un tale, «Muori, cane, muori il più presto possibile», rincara un altro, «Dovresti finire sotto uno schiacciasassi», infierisce un terzo.
La sequenza di offese continua con l'augurio che «i suoi giorni siano contati», con la certezza che «quello della sua morte sarà un giorno di festa», con la promessa di presenziare ai suoi funerali «per sputare sulla sua bara» e via svillaneggiando. Un'impressionante dimostrazione di odio collettivo per l'uomo che forse involontariamente pose fine a una dittatura, ma che certamente restituì ai russi un po' di libertà.

Come ha scritto il settimanale tedesco Der Spiegel, «una finestra sull'anima russa», purtroppo assai più propensa a rispettare la memoria di un mostro come Stalin.

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