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Obama copia Jfk e Reagan per disinnescare il nucleare

Il presidente a Berlino propone: via un terzo degli arsenali. Fa il verso ai due giganti che fecero la storia con una frase, in ben altri tempi. Ma lui parla troppo e sbaglia obiettivi

Obama copia Jfk e Reagan per disinnescare il nucleare

Sia Kennedy che Reagan dissero quattro parole a testa alla Porta di Brandeburgo, uno nel 1963, l'altro nel 1987. John disse: «Ich Bin Ein Berliner», due anni dopo che il muro fra il mondo comunista e quello democratico era stato eretto. Voleva dire che il muro era il maggiore segnale del fallimento del comunismo e aveva ragione. Voleva riaffermare che gli Stati Uniti erano completamente anticomunisti e che avrebbero combattuto per i sudditi del comunismo come fossero stati loro cittadini. Ronald Reagan, dopo che tutti i consiglieri e i diplomatici glielo avevano caldamente sconsigliato, disse invece: «Tear down this wall». Tira giù questo muro, se pensi davvero alla giustizia e alla libertà, signor Gorbaciov.
C'era abbastanza decisione, ispirazione e insieme anche severità (fu Reagan a promuovere il decisivo emendamento Jackson and Vanick che aprì le porte dell'Urss) come si usa fra gente sincera, nella formula semplice usata dal presidente americano nel 1987, quella di chi sente che la storia preme.C'era poco da spiegare, molto da fare.
Obama ieri alla porta di Brandeburgo ha tentato il discorso storico che ogni presidente deve lasciare nel suo retaggio, ma ha usato una quantità di parole e di concetti dilagante, una marea estiva, un ammiccamento a chiunque condivida buoni sentimenti. Il punto centrale era forte e innovativo, la proposta alla Russia della diminuzione di un terzo delle armi nucleari, ma se ci sia qui del realismo e una effettiva prospettiva politica, è difficile dire, e soprattutto forse, con tutti i problemi che oggi tormentano il mondo, sarebbe stato più bello che Obama scendesse finalmente dal suo piedistallo di panna e ci dicesse qualcosa di più sul ruolo che gli Usa vogliono avere per aiutare questo mondo in crisi. Invece non mancava nulla del primo Obama, quello di prima del monitoraggio dei cittadini, dei problemi economici, delle impossibili incertezze sulla politica estera. Obama ha affogato la sua proposta in una quantità di retorica, che suggerisce di «alzare gli occhi» ( un riferimento kennediano) tanto in alto da perderli nel nulla. Obama ha abbracciato tutta la lotta all'ingiustizia sociale, ha proposto il cambiamento globale, la necessità di aiutare il mondo dei poveri, la lotta al terrorismo e al catastrofico cambiamento climatico, la pace, la giustizia, il rispetto di tutti gli immigrati, la povertà dei bambini, la terra da coltivare, la medicina dottori nel mondo, la sicurezza e libertà bilanciate quanto lo richiede oggi dopo l'ultimo scandalo l'opinione pubblica internazionale... E chi può dissentire? La sua proposta sul nucleare si è dunque presentata nell'ambito di un discorso molto facondo ma confuso nelle proposte, con alla base la poco nuova idea di base di chiudere per sempre tutte le guerre. Obama peraltro non è nuovo alla proposta di riduzione del nucleare ma le questioni ancora aperte, vedi la Siria e i missili americani in Europa, indispettiscono Putin e hanno causato una risposta freddina da parte della Russia. Essa vuole, per decidere, «il coinvolgimento di altri Paesi». E subito gli americani hanno risposto, scendendo dalle stelle, che «le riduzioni dell'arsenale nucleare non riguardano le armi dispiegate in Europa in appoggio alla Nato». Ma è bello sperare: piacerebbe a tutti a un mondo denuclarizzato, ma contestualmente forse sarebbe opportuno per un leader mondiale fornire risposte alle tre grandi domande che oggi preoccupano il mondo: la Corea del Nord, l'Iran, e il Pakistan. Invece purtroppo questi tre Paesi restano un'incognita sul futuro di tutti noi.

E la questione del Pakistan può ravvivarsi proprio ora che il presidente afghano Karzai ha dichiarato tutta la sua ira e la sua preoccupazione per l'apertura di Obama alle trattative con i talebani.

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