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La parabola di Obama Dal nobel sulla fiducia alla sfiducia mondiale

La Francia chiude lo spazio aereo, Morales costretto ad atterrare a Vienna: Snowden non è a bordo. Esplode l'ira dei sudamericani

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama con la moglie Michelle
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama con la moglie Michelle

Quando a Barack Obama, eletto da pochi mesi presidente degli Stati Uniti, fu assegnato inaspettatamente il Premio Nobel per la Pace, molti storsero il naso: non sarebbe stato meglio aspettare di vederlo all'opera, prima di conferirgli un riconoscimento che dovrebbe andare a chi ha davvero lavorato bene per l'umanità? Ebbene, quattro anni dopo, i «molti» di allora sono diventati centinaia di milioni: quasi ovunque vada, il presidente degli Stati Uniti viene accolto con diffidenza, se non proprio con ostilità, perché il mondo intero si è reso conto che egli non è il Messia che, specie a sinistra, molti si aspettavano, ma solo un politico che, sul piano internazionale, non ha mantenuto quasi nessuno degli impegni che si era assunto e tende a navigare a vista. Ultimo esempio, il caso egiziano: due anni fa Obama, affascinato dalla primavere araba, scaricò Hosni Mubarak, uno dei più fedeli alleati degli Stati Uniti, e ha poi fatto il possibile per trovare una intesa con la Fratellanza musulmana, e con il suo presidente Morsi. Adesso che questi viene contestato dalla maggioranza degli egiziani Washington non sa che pesci pigliare e non usa neppure l'arma degli aiuti economici per cercare di influenzare gli eventi.
Ovunque si guardi, la politica estera di Obama fa acqua. Aveva preso il solenne impegno di risolvere il conflitto israeliano-palestinese, e l'unico risultato è stato di alienarsi entrambi i contendenti. Aveva promesso un «reset», una revisione dei rapporti con la Russia, e questi hanno invece assunto nuovamente toni da guerra fredda, con continui contrasti degenerati addirittura in uno scontro personale. Si è impegnato a fondo per concludere da vincitore la guerra in Afghanistan, e finirà con il ritirarsi ingloriosamente alla fine del prossimo anno senza essere venuto a capo dei Talebani. Ha cercato di fermare la corsa dell'Iran verso la bomba atomica, prima con lo strumento della diplomazia, poi con l'inasprimento delle sanzioni, ma gli ayatollah sono andati avanti per la propria strada e ormai sono a pochi mesi dalla realizzazione dell'arma nucleare. Si è a lungo, e per una volta saggiamente, rifiutato di intervenire in Siria per timore che le forniture di armi cadessero nelle mani dei Jihadisti vicini ad Al Qaeda, solo per cambiare idea proprio nel momento in cui il regime di Assad sembra di nuovo prendere il sopravvento. Ha deciso che gli interessi di Washington sono ormai più in Asia che in Europa, ma i suoi tentativi, anche personali, di stabilire un buon rapporto con la nuova dirigenza cinese sono rimasti al livello delle buone intenzioni.
Adesso, per completare l'opera, a causa delle rivelazioni di Snowden sullo spionaggio è entrato in conflitto anche con l'Europa. Già in occasione del discorso pronunciato in giugno a Berlino si era visto come il clima fosse cambiato rispetto a cinque anni fa, quando, ancora candidato, era stato accolto in trionfo da duecentomila persone. Era da un pezzo che i politici della Ue, da Hollande alla Merkel, non si rivolgevano agli Stati Uniti con toni così duri e la promessa di Obama di «fornire spiegazioni» non ha finora avuto alcun seguito. Intendiamoci: qui gli americani possono avere qualche buona ragione, perché la lotta al terrorismo è anche nel nostro interesse. Ma resta il fatto che, alienandosi anche gli europei, gli Stati Uniti di Obama sono rimasti quasi senza più amici, con una influenza certo ridotta rispetto a cinque anni fa.

Non un bel risultato, per un presidente che ambisce a ritagliarsi un ruolo importante nella storia.

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