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La "peste" della Mecca sbarca in Europa

In Arabia Saudita ha già fatto oltre 80 vittime: nell'Ue già dieci casi, uno gravissimo in Grecia

La "peste" della Mecca sbarca in Europa

Non è una malattia sinistra come l'Aids, certo, e neppure è la Sars; ma anche la Mers, di cui ci occupiamo oggi non scherza, quanto a pericolosità. Dunque converrà cominciare a familiarizzare anche con quest'altro, ultimo arrivato nel serraglio delle moderne pestilenze a quattro lettere. Mers sta per sindrome respiratoria mediorientale da coronavirus. È dunque imparentato con la Sars, che è una «sindrome acuta respiratoria grave», ma qui la differenza – una differenza che ha fatto drizzare i capelli sulla testa ai medici dell'Organizzazione mondiale della Sanità- sta in quell'aggettivo: «mediorientale».

Più propriamente saudita. Perché è in quel Paese, si sospetta da un paio d'anni, che il coronavirus ha stabilito la sua tana. E poiché il periodo dell'anno in cui incrudelisce è quello del Ramadan, quando alla Mecca confluiscono da tutto il mondo islamico milioni di persone per il rituale pellegrinaggio (l'Hajj) si può capire quale tremendo allarme questa faccenda rischia di innescare, visto che i milioni di pellegrini che girano intorno alla kaaba, la pietra nera della Mecca, si sparpagliano poi ai quattro angoli del mondo.

L'ultimo «untore» registrato in Europa è un cittadino greco di 69 anni, attualmente ricoverato in terapia intensiva, sbarcato all'aeroporto di Atene proveniente dall'Arabia Saudita prima di Pasqua. Mentre il totale dei morti fulminati dalla sindrome del virus a corona (è questa la forma del virus, visto al microscopio) sale a 81, se ci aggiungiamo i casi di un uomo di 73 anni a Riad e di un altro di 54 spirato a Gedda.

C'è già un filo di panico in Arabia Saudita, dove il ministro della Salute, Abdullah al-Rabiah, dovendo il governo prendersela con qualcuno, ha perso il posto. E un filo di panico anche in Grecia, dove il tassista che ha portato il viaggiatore proveniente dall'Arabia, e tutti quelli che in un modo o nell'altro sono venuti a contatto con l'incolpevole «untore» sono stati messi sotto controllo.

Il nuovo virus secondo gli scienziati non ha alcuna relazione diretta con nessun altro coronavirus conosciuto sinora e ha un alto tasso di mortalità. Gli occhi della comunità scientifica internazionale sono puntati sul Ramadan, che quest'anno comincia il 28 giugno e termina il 27 luglio. L'anno scorso i pellegrini furono 3 milioni e 100 mila. Quest'anno il numero dovrebbe calare sensibilmente, visto che le autorità saudite (senza parlare apertamente del virus, ma adducendo una serie di lavori alla sede del pellegrinaggio) hanno ridotto del 20 per cento il numero dei permessi accordati, chiedendo agli anziani e ai malati di non mettersi in viaggio.

Secondo Christian Nordqvist, un ricercatore di Medical News Today, la chiave per risalire alle cause dell'infezione sta in certe modalità culturali tipiche del mondo islamico. L'aspetto epidemiologico sul quale gli scienziati si stanno arrovellando è dovuto al fatto che i soggetti colpiti dalla Mers sono in prevalenza maschi, sia per quel che riguarda i contagi che i decessi. E poiché il sospetto che pecore e dromedari siano vettori privilegiati del virus, ecco lievitare l'ipotesi che l'innesco abbia origine in certe aree beduine della penisola arabica.

Questo è un motivo. L'altro potrebbe avere a che fare con la rigida separazione dei sessi propria della cultura araba, là dove l'uso del velo che copre bocca e naso delle donne potrebbe svolgere un ruolo protettivo, come una mascherina, contro il contagio.

Il che spiegherebbe la diffusione per così dire asimmetrica del virus, in cui gli uomini sono stati più esposti mentre le donne, per una volta, la farebbero franca proprio grazie a quel velo che a noi occidentali pare una punizione.

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