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Il piano dei soldati per uccidere Obama

In manette quattro militari: pianificavano un attentato. L'allarme: "Cresce la rabbia contro di lui"

Lo ami o lo odi, recita la locandina del documentario anti-presidente che in soli tre giorni ha sbancato il botteghino a stelle e strisce. E a giudicare dal clima che si respira da qualche tempo negli Stati Uniti, sembrano sempre più numerosi gli americani che covano odio per Barack Obama. Un odio cieco e viscerale, che in genere attraversa e prende di mira le più illustri presidenze, ma che con l'arrivo di un nero alla Casa Bianca si è combinato all'intolleranza razziale e a uno pseudo patriottismo d'accatto in grado di generare un mix esplosivo, fatto non solo di disprezzo verbale, ma di violenza vera e propria. L'ultima prova è negli arresti compiuti ieri alla base militare Fort Stewart, in Georgia, dove quattro soldati si sono armati fino ai denti (uno di loro ha speso 87mila dollari per mettere in piedi l'arsenale), hanno fondato il gruppo anarchico «Fear», comprato un terreno nello Stato di Washington per utilizzarlo come campo di addestramento e si sono messi in testa di poter compiere attentati in grande stile, tra cui l'assalto alla loro stessa caserma, per sognare poi il colpo finale: eliminare il presidente in persona. Obiettivo ambizioso, forse improbabile, ma segnale comunque preoccupante di un clima, di un'escalation di pessimi sentimenti che uniti agli estremismi di qualche singolo o gruppo sovversivo possono avere esiti letali. Come accaduto proprio al gruppo «Fear», che per paura di essere scoperto, prima dei fermi della polizia, ha ucciso un commilitone e la sua fidanzata sospettati di poter fare la spia.
Già nel 2008, a un mese dal suo ingresso alla Casa Bianca, l'allora candidato democratico Obama era finito nel mirino di un gruppo di esaltati di estrema destra. Le manette erano scattate per due neonazisti del Tennessee, 18 e 20 anni. La coppia aveva pianificato una strage in una scuola afroamericana: voleva sparare a 88 studenti e decapitarne 14, per poi concentrarsi su un attentato al leader democratico.
Ed è proprio dal 2008, anno dell'elezione di Obama, che non solo gli episodi, seppur isolati, di odio contro il presidente si fanno preoccupanti, ma anche le dichiarazioni esplicite di intolleranza e soprattutto i numeri di una macabra fenomenologia. Da quando alla Casa Bianca siede lui, primo presidente nero della storia, i gruppi «per la supremazia della razza bianca» e le coalizioni paramilitari fondate su teorie cospirazioniste sono aumentati del 755% (da 149 nel 2008 a 824 nel 2010 fino ai 1.274 al marzo di quest'anno) secondo il rapporto annuale dell'organizzazione per i diritti civili Southern Poverty Law Center. «Una crescita scioccante», ha commentato Mark Potok, direttore della ricerca. E potrebbe essere solo l'inizio. «La verità è che queste milizie diventano ogni giorno più allarmate per la tangibile possibilità di un secondo mandato del presidente di colore. La loro rabbia sta crescendo». Come cresce l'antipatia di una parte dell'elettorato nei confronti del presidente (finora sempre in vantaggio, ma un sondaggio Gallup ieri lo dava al 46% contro il 47% di Romney, la differenza più bassa mai registrata nelle ultime 15 elezioni). Sospetti e dietrologia sui veri obiettivi del leader democratico sono condensati negli 87 minuti di documentario di Dinesh D'Souza, ex membro dello staff di Reagan e autore di «The roots of Obama's rage» («Le origini dell'odio di Obama»), libro che ha trasformato nel film «2016 Obama's America», record di incassi lo scorso week end e già entrato nella storia come il documentario politico conservatore di maggior successo. Il paradosso è che l'odio di cui si parla è quello del presidente Obama per gli Stati Uniti. La teoria è che la sua rielezione equivarrebbe alla morte degli Usa. Una fine che il presidente vorrebbe realizzare per portare a buon fine la politica anticolonialista di suo padre, con un obiettivo: mandare il Paese in bancarotta e creare uno Stato socialista, dismettendo le testate nucleari per poi permettere agli «Stati Uniti dell'Islam» di allearsi con Marocco e Pakistan e far fuori Israele. In soli tre giorni il film ha realizzato 6 milioni e mezzo di dollari.

La ciliegina sulla torta dopo le campagne sul presidente musulmano e sul presidente nato fuori dal suolo americano.

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