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Piano di pace di Mosca. Ma in Crimea il russo torna lingua ufficiale

Via l'ucraino dai documenti, oscurati i canali tv locali. Braccio di ferro diplomatico sul referendum di domenica

Soldati su un veicolo militare a Sebastopoli, in Crimea
Soldati su un veicolo militare a Sebastopoli, in Crimea

La data del 16 marzo, per la quale i filorussi - in pratica la Russia - hanno fissato il referendum sulla secessione della Crimea dall'Ucraina si avvicina in un clima schizofrenico. Da una parte le forze russe continuano un gradino dopo l'altro a innalzare il livello della violenza e delle provocazioni per rendere fattuale la secessione su cui domenica si dovrebbe votare, dall'altra la Russia - quindi i protettori dei filorussi in Crimea ma anche nelle altre regioni dell'Ucraina dove la ribellione alle autorità di Kiev cresce e viene fomentata - si spende sul piano diplomatico nel tentativo di dimostrare una volontà di trovare una via d'uscita pacifica all'impasse attuale.
Dopo che domenica sera i segnali delle televisioni ucraine sono scomparsi in Crimea sostituiti da programmi in lingua russa e che il russo è stato proclamato lingua ufficiale a Sebastopoli, ieri si è assistito all'occupazione a mano armata dell'ospedale militare ucraino di Simferopoli e all'aggressione alla base militare ucraina di Bakhcisaray, dove la bandiera russa è stata issata accanto a quella ucraina dopo il rifiuto dei militari che la difendevano di consegnare le armi. Bakhcisaray è la piccola capitale dei tartari di Crimea (circa il 12 per cento della popolazione crimeana), che ieri per bocca del loro leader Andrei Krisko hanno rifiutato l'offerta dei filorussi di entrare a far parte della loro futura amministrazione: «Non vogliamo l'annessione alla Russia - ha detto Krisko - e boicotteremo il referendum».

Un altro episodio drammatico è avvenuto a Chonhar, un villaggio di 1500 anime al confine amministrativo tra la Crimea e la regione meridionale ucraina di Kherson: qui decine di uomini e donne si sono sdraiate a terra per impedire il passaggio in Ucraina delle colonne di mezzi militari senza insegne ma ritenuti russi. Secondo un rappresentante del consiglio del villaggio, citato da un giornale locale, i militari russi si sono fermati alle porte di Chonhar, minando i campi e cominciando a scavare per i pali di frontiera.

In questo clima il premier ucraino Arseny Yatsenyuk ha chiesto alla Russia che il referendum in Crimea «venga immediatamente annullato». «Non è vero che è stata convocata dalle autorità legittime della Crimea, perché quelle non lo sono - ha avvertito Yatsenyuk -. Sono una banda di criminali che hanno preso il potere in modo incostituzionale e con la protezione di 18mila militari russi». Yatsenyuk è atteso alla Casa Bianca domani e si fa forte del rifiuto americano, ribadito ieri dallo stesso Obama in una conversazione col presidente cinese Xi: Cina e Usa d'accordo sul no a ogni secessione (Pechino pensa ovviamente al Tibet).

Venti di guerra virtuale soffiano sempre più tesi: la Nato ha inviato aerei di sorveglianza Awacs sui cieli polacchi e romeni, mentre Yatsenyuk lancia esercitazioni delle forze armate e firma un'intesa militare con la confinante Romania (che è membro Nato dal 2004).

Intanto il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov annuncia «nuove proposte diplomatiche per risolvere la crisi riportando la situazione ucraina nel quadro del diritto internazionale e per tener conto degli interessi di tutti gli ucraini».

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