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Strage in miniera, assalto a Erdogan

Strage in miniera, assalto a Erdogan

Se anche solo piovesse a Istanbul, le piazze si rivolterebbero contro Erdogan. È ormai un trend incontrovertibile quello del disagio sociale nei riguardi del premier turco. Persino un fatto dolorosissimo come l'esplosione nella miniera di Soma, il peggior disastro che la storia del Bosforo ricordi, si trasforma in occasione di protesta contro un regime inviso. La Turchia tutta si è fermata. Troppo grande l'angoscia per le 240 e più vittime, per i 120 minatori ancora intrappolati e per gli 80 feriti a seguito dello scoppio nell'impianto carbonifero situato nella parte occidentale del Paese, accaduto a cavallo tra un cambio di turno, con il monossido di carbonio che si è diffuso rapidamente. Poche in verità le speranze di trovare minatori ancora in vita, mentre si continua a scavare anche a mani nude e dopo che per tutta la notte di martedì i soccorritori hanno pompato ossigeno nella miniera. Anche Papa Francesco ha lanciato un appello in occasione dell'udienza generale del mercoledì: «Vi invito a pregare per i minatori morti nella miniera di Soma, in Turchia e per quanti si trovano ancora intrappolati nelle gallerie».
Ma è la rabbia a soffiare adesso sul fuoco delle polemiche, con gli oppositori di Erdogan che accusano il governo di aver ignorato i ripetuti avvertimenti sulla sicurezza delle miniere. Una regione, quella situata a 300 km a ovest di Istanbul, che negli ultimi dieci anni ha fatto registrare un'impennata alla voce sviluppo/pil e che oggi si interroga su come sia possibile morire per un salario bassissimo. Proprio la società proprietaria dell'impianto è messa nel mirino dal partito di opposizione Chp: avrebbe impiegato alcuni minorenni, facendoli lavorare ben al di là dell'orario stabilito, e con l'ombra rappresentata dai dati dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro che posiziona la Turchia come il terzo peggior Paese al mondo per le morti sul lavoro.
La protesta è sfociata ad Ankara, dove gli attivisti anti-Erdogan hanno invitato i cittadini a sdraiarsi per terra nelle stazioni della metropolitana, in ricordo delle vittime. Le forze dell'ordine non hanno gradito la manifestazione e, per il solo fatto che non era stata preventivamente autorizzata, hanno lanciato lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere i presenti, presso la Middle East Technical University. Violenti scontri anche a Istanbul. «Noi, una nazione di 77 milioni di abitanti, stiamo vivendo un grande dolore», ha detto Erdogan in una conferenza stampa improvvisata dopo aver visitato la miniera. All'uscita il premier è stato costretto a rifugiarsi in un supermercato fuori dal quale lo attendeva una folla inferocita, che ha poi preso a calci la sua auto al grido di «Ladro e assassino». Le sue parole non sono bastate a chi vede proprio nelle politiche governative l'epicentro dei problemi. A chi gli chiedeva conto delle misure di sicurezza, Erdogan ha reagito con stizza, replicando che esplosioni come queste possono accadere in ogni momento. I tre giorni di lutto nazionale e l'aver annullato la visita ufficiale in Albania non saranno certo un vaucher per chi, nonostante la vittoria alle amministrative di un mese fa, vorrebbe il prossimo agosto sedere sulla poltrona più alta del Paese, mostrando totale disinteresse per chi scende in piazza.

Ovvero quei cittadini che sulla parete del pronto soccorso di Soma hanno inciso con una chiave parole dure come il marmo: «Per coloro che danno la vita in cambio di una manciata di carbone».

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