Fantapolitica rivedere il Concordato

Non ci sarà nessuna guerra di religione per via dei Pacs degradati in Dico, in ogni caso non si andrà al di là di quelle guerricciole delle quali parlava il Guicciardini nelle quali «si disputava di qualche castelluzzo» con sacrificio «di qualche mulo e cavallo».
Perché a seguirla con animo sgombro, la materia non vale proprio il dispiegamento di passioni e di sottigliezze che da ogni parte vengono messe in campo. La proposta di legge è per i più un pasticcio con scarsa logica e costrutto, messa insieme e fatta approvare in fretta da Prodi ansioso di lasciarsi dietro, prima di partire per l’India, una grana destinata col tempo a peggiorare. Nata male, questa legge avrà in Parlamento vita tribolata: da ogni parte si promettono «miglioramenti», di qua e di là, destinati fatalmente a stiracchiarne ancora di più l’efficacia, o a stendere sul tutto un pietoso oblio.
Eppure, a testimoniare di una inclinazione tutta italiana a discutere del nulla, o del poco, di farne materia di dispute defatiganti e infinite si cominciano ad ascoltare parole solenni, o solo grosse, tanto da somigliare ad autentici spropositi. Intanto, della legge che ci si propone si parla sempre meno, e questo sarebbe un bene se dalla materia non promanassero ormai questioni più grosse, o ingombranti: di principio addirittura, capaci di dar vita, appunto, a guerre e guerricciole che non sono di religione, ma sanno già di carta bollata, di dispute da giureconsulti, di quelle destinate a lasciare il tempo che trovano.
Eugenio Scalfari, per esempio, in uno dei suoi articoli tra i più fluviali, una colonna in prima e una intera pagina più avanti nella foliazione, sosteneva qualche giorno fa che in fatto di «ingerenze» vaticane si è passato il segno, coi cardinali che si scagliano «a testa bassa» contro le istituzioni, talché qualcuno potrebbe ricorrere alla Corte Costituzionale per chiedere, se ho capito bene, l’abrogazione o la rimessa in causa del concordato.
Si tratta dunque di un ritorno, pensate un po', alla «questione romana», terra bruciata sull’operato di Mussolini del '29, di Togliatti con l’articolo 7 del '48, di Bettino Craxi col nuovo patto del 1984. Qualsiasi cosa si pensi del concordato, l’idea del Papa che torna a chiudersi in San Giovanni in Laterano o altrove è materia da fantapolitica, o da scherzo a parte. L’idea di Scalfari vale in verità l’articolo del giornale cattolico Avvenire, che per la legge Bindi-Pollastrini scomoda il «non possumus», un titolo davvero impegnativo che riecheggia, anch’esso, il ritorno alla questione romana.
Al centro delle dispute ci sono le «ingerenze» della Chiesa. E però, non è affatto chiaro dove la predicazione di un vescovo vada al di là di un colloquio col popolo dei fedeli per diventare un’ingerenza. Né è chiaro, stando a quel che dice una parte del clero, dove le proteste dei laici non finiscano per apparire come intimazioni al silenzio, specie se accompagnate da minacce di revisioni di concordati.
Riportando le cose alle loro dimensioni reali, la predicazione di Ruini rivolta al popolo dei cattolici è un aspetto del magistero della Chiesa, che nessuno si sogna di negare, e che ognuno può peraltro accettare, o no, regolandosi poi come crede per quel che riguarda l’applicazione della legge. Ciò vale per i cittadini ma anche per i parlamentari. Così liberi di scegliere, questi ultimi, che nella quasi totalità lo hanno già fatto. E c’è chi voterà per buttare giù il governo, chi per salvarlo. Il resto, rischia di essere ipocrisia.
Insomma, nessun cardinal Ruffo ha sollevato le plebi sanfediste contro una repubblica giacobina che non esiste, e che spero non esisterà mai. Se è così, c’è da sperare che inventiva e passione, per chi sia in grado di esprimerne, siano messe in campo per materie più degne, che davvero non mancano.


a-gismondi@tin.it

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