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"Per farcela serve tanto lavoro e grande fortuna"

"Per farcela serve tanto lavoro e grande fortuna"

In Italia sono oltre 26mila i precari dell'università. Dietro ognuno di loro c'è una storia fatta di volontà, impegno, talento. Ma anche di difficoltà e frustrazione. Fra questi c'è anche Mauro Roncarelli. Si è laureato in astrofisica nel 2003, ha conseguito il dottorato nel 2007, negli ultimi quindici anni si è sempre dedicato alla ricerca e all'insegnamento. Adesso, a 40 anni, rischia di dovere lasciare il mondo accademico.

In questi quindici anni in quali atenei ha lavorato?

«Sono stato impegnato all'università di Bologna e all'université Paul Sabatier di Tolosa, in Francia. Ho prevalentemente fatto ricerca in astrofisica, ma ho anche fatto didattica. Ho seguito le tesi di laurea e, negli ultimi anni, ho anche lavorato come assistente in alcuni corsi universitari».

Lei è uno dei tantissimi precari italiani. Come svolge il suo lavoro?

«Faccio unicamente ricerca, seguendo anche le tesi degli studenti. Per arrotondare e per migliorare il curriculum ho fatto l'assistente. Seguivo due corsi all'anno. Per fortuna non ho mai dovuto fare lavori esterni».

Mediamente quanto guadagna in un mese?

«Personalmente ho sempre avuto un salario dignitoso. Ma il problema non è il compenso mensile, è che versiamo pochissimi contributi per la pensione, non abbiamo il tfr e godiamo di poche tutele quando il contratto scade».

Quali sono le maggiori difficoltà legate all'insegnamento universitario precario?

«Nel mondo scientifico non si fa insegnamento per guadagnare. Si prenderebbe di più offrendo lezioni private. Lo si fa per arricchire il curriculum, perché si spera che questo serva per avere un posto fisso a medio-lungo termine. Nel frattempo, però, l'assegno di ricerca rischia di scadere e così si deve fare tanta ricerca per potere avere un altro contratto».

Queste difficoltà possono mettere a repentaglio la qualità della didattica?

«Eccome. In un sistema del genere a un precario conviene non dedicare troppo tempo alla didattica perché questo va a scapito della ricerca».

Lei adesso rischia di lasciare l'università. Perché?

«Mi sta per scadere l'ennesimo contratto, ed essendo il sesto anno di assegno di ricerca sono arrivato al limite della legge Gelmini, senza che mai ci sia stata per me un'opportunità di ottenere un contratto migliore. Sono anche molto stanco di lavorare in questo ambiente: ci sono grandi potenzialità, ma con tutta questa precarietà diventa difficile portare avanti i progetti di ricerca».

Che consiglio darebbe a chi volesse cominciare questo percorso?

«Di essere consapevole che è un grosso rischio. Essere bravissimi e dare il massimo possono solo garantire dei contratti precari. Per avere un posto fisso occorre essere bravissimi, dare il massimo e avere fortuna. Molta fortuna.

Quindi il mio consiglio è di pensare sempre a costruirsi una via d'uscita».

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