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Di cosa ci ammaleremo: gli scienziati descrivono il paziente del futuro

Un convegno all'Università Statale di Milano fa il punto dello stato della medicina e indica dove guardare: crescono le malattie non trasmissibili che provocheranno il 74% delle morti, soprattutto nei Paesi meno sviluppati e tra le fasce sociali a basso reddito

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Sempre più complesso e inserito in un ambiente tutt’altro che lineare. È il paziente del futuro. Poliedrico ed esposto alle influenze di ciò che lo circonda. A ben guardare non vi è nulla di nuovo sulla natura dell’uomo. Quella che sta cambiando è la visione del medico che dovrà tener conto, da un lato dell’habitat, soggetto a mutamenti sempre più rapidi (dall’inquinamento al clima, dalla crescita demografica alle guerre con le crisi e le minacce conseguenti) dall’altro, del paziente sofferente, un microcosmo altrettanto complesso inserito in diversi contesti.

È in sintesi il tema che ha visto discutere all’Università Statale di Milano alcuni dei più grandi esperti della sanità come Umberto Solimene, Direttore WHO (World Health Organization) Collaborating Center for Integrative Medicine - State University of Milan, Alessio Fasano, professore della Facoltà di Medicina di Harvard, Stefano Fais, dirigente di Ricerca del Dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare, ed Ernesto Burgio dell’European Cancer and Environment Reserach Institute di Bruxelles. Promosso dalla International Academy of Pysiological Regulating Medicine (PRM) e dalla World Federation of Hydrotherapy and Climatotherapy (FEMTEC), l’evento ha avuto il patrocinio del Ministero della Salute e di FNOMCeO oltre che il sostegno non condizionante dell’azienda GUNA specializzata in medicinali a basso dosaggio.

Quali malattie

Gli esperti si sono soffermati sull’interferenza dell’esposoma, concetto formulato la prima volta nel 2005, che comprende l’insieme dei fattori ambientali e le risposte individuali di tutta una vita. Si è parlato anche di interattoma, l’insieme delle interazioni molecolari che avvengono in un organismo e che, a cascata, regolano il metabolismo.

I pazienti di domani dovranno misurarsi in misura crescente con le malattie non trasmissibili che sono le malattie cardiovascolari, cerebrovascolari, neoplastiche, metaboliche e le degenerative progressive che saranno responsabili del 74% delle morti, in particolar modo nei Paesi meno sviluppati e tra le fasce sociali a basso reddito. Ma non è tutto perché il progressivo peggioramento delle componenti ambientali cui un individuo è esposto nell'arco della vita come ad esempio l’alimentazione e l’inquinamento ambientale e l’accelerazione impressa dai cambiamenti climatici contribuirà a mantenere costante o perfino ad aumentare la prevalenza di malattie come il diabete e l’arteriosclerosi.

Meno resilienti

“Il paziente del futuro sarà sempre più un sistema biologico a rischio di disadattamento, che potrà perdere progressivamente le proprie capacità intrinseche di robustezza e resilienza – ha affermato Alessandro Pizzoccaro, presidente e fondatore di Guna – Un altro aspetto cruciale, che andrà attentamente monitorato e gestito, è quello dell’infiammazione: il paziente del futuro sarà sempre più infiammato, le cui molteplici comorbidità riconosceranno in questa condizione la propria comune matrice”.

Il decalogo

Gli esperti si sono interrogati su come affrontare le prossime sfide. In sintesi i pilastri su cui lavorare sono prevenzione, predittività, precisione e personalizzazione.

Durante l’incontro è stato messo a punto un decalogo (anche etico) di obbiettivi e necessità, in sintesi:

  • i big data si utilizzino per interpretare l’unicità del paziente;
  • la medicina si avvalga dei risultati della ricerca senza diventarne una palestra applicativa passiva;
  • si utilizzino gli strumenti di precisione senza però frammentare l’insieme del paziente nel suo essere un unicuum “corpo-mente-spirito”;
  • ci si avvalga dell’integrazione fra diversi approcci diagnostici e terapeutici e tra differenti farmacologie (di sintesi e naturale-biologica, degli alti e dei bassi dosaggi) e di interventi sulla persona-sistema come, per esempio, quelli di tipo psichiatrico, fisiatrico, termale o come il movimento;
  • si privilegi l’approccio preventivo e non solo terapeutico e che preveda una sempre maggiore accessibilità ed efficienza delle diagnosi e delle cure, ottimizzando il carico umano ed economico dei metodi farmacologici, fisici e chirurgici, e valorizzando anche le tecniche riabilitative.

Davanti a pazienti sempre più cronici, con comorbidità, politrattati e bisognosi di cure per le proprie disabilità, si privilegino trattamenti a basso impatto, sia per il paziente che per l'ambiente, attraverso la riduzione del carico farmacologico.

Infine, la medicina sia in grado di agire nelle fasi precoci di malattia e favorisca il mantenimento del paziente in low disease activity (bassa attività di malattia), una volta portato in remissione.

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