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"Fiero di aver combattuto ma l'Isis non è sconfitto"

Alex Pineschi, dopo esser stato 5 anni in Irak con i curdi, è tornato a casa. E racconta la sua storia

"Fiero di aver combattuto ma l'Isis non è sconfitto"

Una mattina ti svegli e senti una chiamata, come un religioso, avete presente? E niente ti può fermare. Pianifichi tutto nei dettagli, senza che nessuno lo sappia. Metti nel bagaglio il minimo indispensabile e parti senza sapere cosa ti aspetterà. Hai dentro solo la convinzione che stai andando a fare la cosa giusta perché quello che vuoi davvero è dare il tuo contributo. In tv hai visto che in Siria e in Iraq la gente muore per mano dell'Isis e tu, che la guerra l'hai sempre avuta dentro, non puoi fare a meno di pensare che non ti importa di morire se ciò significa salvare un'altra vita.

Alex Pineschi oggi ha 35 anni. È un ex militare, arruolatosi giovanissimo nel corpo degli alpini. La vita lo ha portato col tempo a fare il contractor e poi a organizzare corsi per addestrare al tiro difensivo. Cinque anni fa, però, è arrivata quella chiamata interiore e niente ha potuto fermarlo. Ha lasciato a casa i genitori, la fidanzata, gli amici ed è partito verso l'ignoto. Ha preso un aereo, è arrivato in una città del nord dell'Iraq e ha aspettato. I giorni passavano. Ha vagato tra una base peshmerga e l'altra per arruolarsi e poter combattere contro l'Isis finché, allo stremo, una mattina si è ritrovato sdraiato sopra una panchina. Qualcuno lo ha avvicinato e gli ha chiesto che cosa facesse lì. E poco tempo dopo, si è trovato con indosso una divisa. I peshmerga non si fidavano. Così è iniziata una lunga gavetta, culminata con l'incarico di poter combattere anche lui, come gli altri. Il primo volontario italiano a scontrarsi contro i miliziani dello Stato islamico in Iraq, il primo occidentale impiegato nelle unità speciali dei peshmerga. Le battaglie sono state molte, ma è stata quella di Mosul la più terribile. «Era l'inferno - racconta -, non lo posso definire in altro modo. Ho visto cose terribili. La peggiore è stata veder morire innocenti. Una volta una bambina che non arrivava neanche ai sei anni è spirata tra le mie braccia». Un giovane uomo, lontano da casa, con a fianco solo il suo coraggio e la sua determinazione. «Paura di morire? Sì, ne ho avuta, ma poi in quei momenti pensi: ho fatto tanto per arrivare fino a qui e dovrei fermarmi per la paura? Non avrebbe avuto senso. Sono rimasto cinque anni in Iraq, finché non ho visto l'Isis soccombere». Anche se ammette, «lo Stato islamico non è ancora sconfitto del tutto. Io sono sicuro che ci sono ancora in giro più combattenti di quanti pensiamo. Sono quelli che mi spaventano di più, sono quelli che porteranno avanti il loro credo. Sono persone spinte da un'ideologia fortissima». Che siano anche in Italia? «Non spetta a me dirlo - afferma Pineschi -. Dovremmo chiederlo ai nostri servizi informativi. Abbiamo un apparato informativo che oggi ha evitato qualsiasi attentato in Italia. E poi abbiamo una presenza delle forze armate e delle forze dell'ordine capillare e ben organizzata che rende molto difficile che vengano compiuti attentati in Italia. Purtroppo non impossibile». Per l'ex combattente «è fondamentale non fermarsi. La perfezione non si raggiunge mai. C'è da implementare, secondo me, la formazione specialistica delle nostre forze armate, anche a livello di equipaggiamenti».

Il peshmerga italiano, originario di La Spezia, da un mese è tornato nella sua città. «Ma non per sempre. Ripartirò a breve, anche se spero per poco tempo, perché vorrei tornare qui e servire in qualche modo il mio Paese. Non importa in che forma. Amo la mia Patria». Una Patria che ha difeso lontano dai suoi confini. Perché c'è la guerra? «La guerra fa parte della società. La guerra ha forti motivazioni anche politiche. La guerra c'è perché la guerra un po' serve anche per capire che sia meglio la pace. In certi momenti- dice con lo sguardo abbassato e gli occhi lucidi - non c'è neanche il tempo di soffrire. Vai avanti, fai quello che devi fare e soffrirai dopo. In guerra è così». Ma Alex Pineschi si sente un guerriero? «Credo che ognuno abbia il suo percorso e il suo destino. Il mio? Quello di aiutare gli altri».

C'è chi ancora lo guarda con sospetto e cautela. Che ci fa un italiano ad addestrare i peshmerga? Perché non fare nel suo Paese quello che ha fatto laggiù? Una volta lo hanno anche indagato perché pensavano fosse un mercenario, ma poi hanno archiviato tutto. È un volontario, uno di quelli che è disposto anche a morire per onorare il suo impegno. Che ci fa, dunque, un italiano in Iraq? La risposta è quanto mai scontata: solo chi ha il segno distintivo dei coraggiosi può capirlo. Solo chi ragiona col cuore può comprenderlo.« C'è chi parte in missione per aiutare i bambini dell'Africa, ci sono i medici che vanno all'estero a curare chi sta peggio e poi c'è chi va a combattere per evitare che il terrorismo arrivi in Italia, dove ci sono i suoi connazionali e i suoi affetti». Può apparire come una distonia, una contraddizione. Ma non è così. «La mia mamma è morta venti giorni fa - conclude Alex - e lei era orgogliosa di me.

Me lo ha detto prima di andarsene per sempre».

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