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«Finita la tregua», l’Eta torna a minacciare

Solo ora il governo di Madrid prende atto che la pausa di pace è servita agli «etarros» per riarmarsi e riprendere forza

«Finita la tregua», l’Eta torna a minacciare

da Madrid

Dalla mezzanotte di ieri la Spagna deve nuovamente mettere in conto la paura che le bombe dei terroristi baschi separatisti presto torneranno a colpire e a uccidere. L'Eta ha annunciato la rottura della tregua permanente, iniziata il 24 marzo dello scorso anno, con un comunicato pubblicato dall'edizione Internet dei quotidiani baschi Berria e Gara. «Non ci sono più le condizioni minime per continuare con i negoziati», scrivono gli etarra, sottolineando che «con le pseudosoluzioni del governo non si è ottenuto nulla, ma solo detenzioni, torture e persecuzioni».
L'Eta si è rivolta anche al capo del governo José Luis Rodríguez Zapatero accusandolo di essere «un fascista che ha privato dei diritti i cittadini e i partiti politici». Ed è chiaro il riferimento alle municipali del 27 maggio: infatti a molte liste civetta della sinistra indipendentista basca fu vietato di presentarsi alle elezioni su ordine dell'Audencia Nacional che aveva rilevato nelle loro file la presenza di ex candidati del fuorilegge Batasuna, considerato il braccio politico dell'Eta.
Subito la replica Zapatero in un messaggio in diretta Tv. «Così come ha fatto in passato, l'Eta è ritornata a sbagliare», ha detto il premier a muso duro. «La risposta del governo sarà la medesima dei precedenti esecutivi e sarà legata alla difesa comune dei valori della democrazia e alla stretta applicazione dello Stato di diritto e all'utilizzo di tutte le forze di sicurezza dello Stato, perché sono convinto che alla fine si giungerà alla pace».
Una risposta scontata e istituzionale, in cui il premier si è ben guardato da utilizzare la parola «terroristi». Zapatero ha, inoltre, aggiunto quello che già tutti sapevano: «La tregua si era di fatto interrotta con l'attentato all'aeroporto di Barajas», che aveva lasciato due morti sotto le macerie. E pur non facendo autocritica né spiegando che cosa fosse successo realmente al tavolo della trattativa, come aveva fatto due settimane dopo l'autobomba, quando al Congresso era passato in punta di piedi davanti all'opposizione del centrodestra (contraria da sempre al dialogo con l'Eta e che chiede il ritorno al Patto antiterrorista), Zapatero ha invitato tutti i partiti a «collaborare in una volontà unanime, perché questo è ciò che vuole il Paese».
Una rottura ufficiale della tregua era nell'aria già dallo scorso sabato, quando Arnaldo Otegi, leader di Batasuna, aveva denunciato «una situazione gravissima e di totale collasso del dialogo politico fra i partiti baschi» da cui, invece, si attendeva un accordo sull'autodeterminazione dei Paesi Baschi.
Ma le contraddizioni della strategia di Zapatero hanno rivelato anche l'ambiguità di un percorso di pacificazione, tra legalità e illegalità, che ha dovuto accettare, prima e dopo l'attentato, episodi rilevanti e indigeribili per l'opinione pubblica come la scarcerazione del pluriomicida etarra Iñaki de Juana. Non solo la Guardia civil e i servizi segreti, ma anche la polizia francese avevano segnalato all'esecutivo spagnolo che la tregua permanente serviva all'Eta solo a riorganizzarsi e a riarmarsi. Lo dimostrava il furto avvenuto a settembre nella fabbrica di armi nel versante francese dei Pirenei, zona di rifugiati etarros.


Lo dimostravano le numerose lettere spedite dagli irredentisti agli imprenditori baschi per estorcere denaro con la «tassa per l'indipendenza» e rimpinguare così le casse svuotate dalle confische della magistratura. Senza contare le azione violente di kale borroka, la guerriglia urbana delle province basche che era continuata in modo costante, tenendo alta la tensione e le minacce che, dalla mezzanotte di ieri, sono ufficiali.

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