Cultura e Spettacoli

FRUTTERO Il giallo è un colore femminile

Una puttana uccisa e otto signore che forse sanno qualcosa: la prima volta senza Lucentini, l’autore costruisce una lunga sfida psicologica

Non avevo mai letto nulla di Carlo Fruttero, del resto sempre in coppia con Franco Lucentini, scomparso nel 2002 lasciando questo colto ed estroso autore a vedersela da solo con il vasto pubblico conquistato da libri che esercitavano, malgrado un certo snobismo, una forte «presa» commerciale ma possedevano anche un'indubbia qualità letteraria, a volte persino troppo esibita.
Così a suo tempo non mi sembrò apprezzabile quell'insistenza - sicuramente causata dal successo di ben tre libri - sul tema «categoria dei cretini». Ormai occuparsi dei cretini è tempo perso: essi crescono di numero in modo esponenziale per il diffondersi del cretinismo anche nei media (in primo luogo, la televisione, ma anche nei rotocalchi, con la loro ossessionante pubblicità) che costringono surrettiziamente «le masse» ad adeguarsi ai modelli che essi impongono trasformando persone normali in cretini, che vanno quindi inconsapevolmente ad acquistare libri su stessi.
Ora Fruttero - come dimostra il suo recente ed eccellente libro Donne informate sui fatti (Mondadori, pagg. 196, euro 16,50) - si è tratto fuori da questa tendenza moralistica, e sta persino cambiando aspetto fisico: in passato in qualche foto pubblicata dai giornali appariva sofferente e disgustato, ora invece (si noti la sua immagine nella seconda aletta del libro), il suo look è addirittura rovesciato: una banda di capelli canuti pettinata sulla fronte, arguti occhi strizzati, e una sigaretta portata malandrinamente alle labbra lo fanno somigliare a un abbronzato e vitalissimo vecchio scout dell'antico West.
Del resto Donne informate sui fatti è un libro costituito da una lunga sfida psicologica, linguistica e vagamente sociologica. Spieghiamo meglio: chi pensa di trovarsi sulla scia dei classici moderni del giallo, ad esempio Chandler, Spillane, o, in parte lo sceneggiatore-scrittore Barry Gifford, rimarrà deluso. Il ritmo della vicenda (una bella ragazza trovata assassinata in un fosso non lontano dallo stabilimento Fiat e vestita «da puttana», e successive indagini) è infatti volutamente lento, più vicino dunque a quello degli antichi autori giallisti; ma mai noioso, reso anzi originale e avvincente dalla sua struttura: otto personaggi femminili di diversa condizione sociale sono «le donne informate dei fatti», che in trentacinque brevi capitoli - nei quali «ognuna» di esse dice la sua, alternandosi fra loro e intersecandosi a vicenda - finiscono per sostituirsi alla presenza demiurgica dell'autore.
Il personaggio che collega il tutto è «la carabiniera». Inutile e dannoso al lettore sarebbe anticipare lo svolgimento e la conclusione. Il pregio e il rischio del libro è tutto nella caratterizzazione psicologica e soprattutto linguistica dei personaggi, che vanno da una bidella e da una disinvolta barista di periferia, alla carabiniera, alla giornalista, alla migliore amica, alla vecchia contessa. Si trattava dunque d'un vero tour de force dell'autore: le psicologie e i linguaggi dovevano essere attendibili, cioè diversi.
È riuscita a Fruttero questa impresa letteraria? Nel suo complesso forse sì, ma con qualche riserva nei particolari. Ad esempio, nella seconda parte della vicenda, forse anche per la maggiore presenza di personaggi di condizione sociale media o medioalta, e anche per la inevitabile preoccupazione di stringere le fila della storia, lo stile si fa più uniforme, e in un certo senso si banalizza per la regolarizzazione linguistica che in genere caratterizza questi ceti sociali: nella prima parte invece i personaggi medio-bassi, la bidella, la barista, la stessa carabiniera, sono tratteggiati con maggior vigore ed espressioni più colorite, magari mutuate dai luoghi comuni televisivi o da quelli del buonsenso popolare, acquistando però nel contesto una nuova e godibile icasticità.
La bidella che ha scoperto il cadavere nel fosso ripete il rimprovero che le ha fatto il marito, e lei lo giudica così: «... da certe cose è meglio comunque stare alla larga, che quello è tutto un mondo pericoloso, droga, schiave del sesso, gargagnani, clandestini di tutte le razze... Un minimo di prudenza, di buonsenso, dice lui, un massimo di fifa, dico io».
Il linguaggio della barista è forse il più originale per le inserzioni costanti di allusi o espliciti temi sessuali: «Suo marito viene sovente al bar... fa un po' lo scemo, fa le battutine sulle mie cosiddette curve... Cesare è un brav'uomo ma non ce lo vorrei neanche sulla classica isola deserta, una mezza sega di pensionato, deve avere sessanta almeno... che una volta l'ho visto uscire zitto zitto da un cinemetto porno».
La carabiniera è invece abbastanza corretta nel parlare - forse si sarebbe potuta accentuare una patina di burocratese -, ma basta una sua frase per caratterizzarne la rozzezza dei sentimenti: «Tutto pulito e in ordine, a parte quel coniglio nero che gira per casa. Ma non era più semplice non dico un cane, ma un gatto? I conigli sono buoni per farsi cucinare arrosto o in umido, no?».


Si tratta solo di alcuni esempi, che tuttavia dimostrano il costante impegno stilistico, cioè il pregio maggiore di questo romanzo che conferma l'autore come una delle poche personalità di rilievo nel paesaggio abbastanza deprimente dell'attuale narrativa italiana.

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