Cultura e Spettacoli

Il futuro? È dietro l’angolo della tradizione

Dai predicatori del Seicento a Obama, dal presidente Jefferson ai neoconservatori di oggi. Così continua il grande sogno

da Londra
Lo storico A. J. P. Taylor diceva di studiare la storia per «capire ciò che succede dopo». Non diverso è l’approccio di Simon Schama nel suo libro uscito ora in Inghilterra, The American Future (Bodley Head, pagg. 400, sterline 20), dove lo studioso, docente da anni alla Columbia university, ripercorre la storia dell’America attraverso incidenti, movimenti, idee e personaggi. Definito un brillante antidoto all’anti-americanismo che impregna oggi le conversazioni private e i dibattiti pubblici, è un testo scritto con l’urgenza di trasformare l’immagine mondiale del Paese con il risarcimento della sua storia.
L’America di Schama è costruita su quattro cardini: belligeranza, fervore, etnicità e abbondanza. Nei capitoli sulla «Guerra» l’autore spiega come nonostante tutto l’isolazionismo dei primi coloni, il militarismo resti una costante potente: dalla guerra civile, ai contrasti fra una repubblica militare «cesarista» auspicata da Hamilton e la democrazia voluta da Jefferson per «difendere un impero di libertà», trovando riscontri nel conflitto con i neoconservatori di oggi. Il «Fervore», che trova odierna conferma negli appassionati discorsi di Barack Obama, è analizzato a partire dell’eloquenza dei predicatori del ’600, per giungere al fervore che infiammava gli apostoli della schiavitù nel Sud o gli abolizionisti del Nord. Dopo il fervore, segue il calderone di razze. «Che cos’è un americano?», Schama intitola la terza parte. Benjamin Franklin, l’ideale di americano/europeo illuminato, fu anche il padre fondatore di una visione che vedeva nell’immigrazione incontrollata i germi dell’autodistruzione americana. Ma, nonostante il veleno del razzismo, inevitabile sottoprodotto dell’immenso calderone di razze che è l’America, «l’immigrazione trionfò come uno dei grandi temi della storia americana», scrive Schama, il quale per ogni difetto americano trova un antidoto.


Possiamo concludere con le parole di Alistair Cooke, il grande corrispondente britannico, che dal ’46 al 2004 interpretò i capricci e le illusioni, la storia e le speranze dell’America senza che mai venisse meno la sua fede nell’energia e nella generosità del suo popolo, per il quale «persiste l’ostinata convinzione che le cose possano essere migliorate, che il futuro debba poter essere meglio del presente».

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