Il galateo dei corretti vuol purgare la tv

Parte la nuova edizione del Grande Fratello - ovvio, era in programma e, come si sa, chi blocca il treno della programmazione televisiva? E di sicuro partiranno i correttori in matita blu che, ormai, hanno superato per fanatismo e fiscalismo (è un plotone trasversale) gli ex politicamente corretti. Sembra che gli odierni «correttissimi» possano allo stesso modo bacchettare statali vecchi e nuovi o travestiti coatti da reality. C'è Moretti che ricorda come Fonzie può aver annacquato il cervello a chi, soprattutto nel mondo progressista, l'abbia bazzicato invece di tenersi su temi e culture «alte» (o è soltanto e più miseramente il tentativo di continuare a gettonare la proprio commediola... piccoloborghese... Mai tragedia!). La cultura «alta», appunto, che non ha niente da spartire con la cultura di massa sempre più disprezzabile. Così anche Michele Serra, nella sua serra ragionativa ma di indubbia efficacia giornalistica, non può fare altro che spaccare il capello in due: «Bisogna, potendo, amare il meglio dell'alto e il meglio del basso». Ora credo che i «finti» progressisti stiano esagerando, anzi, sono convinto che manchino di lucidità mentre abbondano in diligenza. Pare che la parola reality o Grande Fratello (non me ne frega nulla, anzi... ) sia da depennare come «cieco» (tradotto in: non vedente), «mutilato», «frocio», eccetera eccetera. Sembra che le parole più «massa», cioè ex popolari, appunto «basse» ma antropologicamente corrette, siano diventate scorrette in nome di cosa, di chi? In nome di quale Galateo? Sono convinto che «paralitico», «monco», «muto» vogliano essere cancellate e spazzate via proprio perché fa paura, anzi, terrorizza quella cultura popolare, «bassa», che le ha sgravate e usate nel mondo a dimostrazione della complessità e tragedia del vivere.
Non è un arrampicarsi sugli specchi (me ne frego di difendere il Grande Fratello) se addiziono a quelle parole, sempre più bandite, i personaggi, le comparse, i tipi umani dello show che sta partendo. Sputiamocelo in faccia: i protagonisti del reality sono dei «ragazzi di vita». Anzi, sono i nuovi «ragazzi di vita». Certo, non hanno nulla da spartire con i malandrini, i pistola, i borgatari delle marane pasoliniane. Quelli, è ovvio, sono un milione di anni lontano da questi. C'è uno scarto evolutivo tra questi e quelli. Eppure, questi, sono «ragazzi di vita». È ovvio, sono l'espressione di ciò che oggi passa il convento sociale, storico e culturale, direbbe uno studente in sociologia, ma sono sempre i «nuovi» ragazzi di vita. Allora perché cancellarli dalla terra come le parole che urlano dolore, sangue, miseria, sudore? Perché dunque spacciare questo galateo conformista in scalata alla cultura alta? Perché, mi chiedo, dobbiamo sopprimere gli ultimi frammenti di storia «bassa» precipitati come schegge di meteoriti nella televisione? Non vogliamo che la televisione sia lo zoo degli sciampisti eredi palestrati delle bestie da marciapiede di un tempo? Ok. Parliamone. Parliamone insieme. Ma non gli sputiamo addosso, altrimenti lo sputo ci torna indietro quando ci guardiamo allo specchio da soli, senza servitù in casa.


Ancora mi chiedo: non sarebbe più onesto rispolverare la tragedia, il dolore, insomma la complessità e le nostre origini, invece di staccare la spina, come se l'eutanasia delle parole «out» e del Grande Fratello ci potesse salvare?

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