Controcultura

"Giáp, il Vietnam è tuo. Gli Stati Uniti si ritirano"

Gli Usa ignorarono la sconfitta dei francesi e capitolarono davanti al Napoleone d'Oriente

"Giáp, il Vietnam è tuo. Gli Stati Uniti si ritirano"

N essun conflitto, dopo la Seconda guerra mondiale, ha toccato l'immaginario collettivo quanto la guerra del Vietnam. O sarebbe meglio dire le guerre del Vietnam visto che i primi a scottarsi in Indocina furono i francesi (1946-1954) e a seguire gli statunitensi e i loro alleati (1955-1975). Sul territorio di una nazione poco più grande dell'Italia sono stati combattuti contemporaneamente uno scontro di decolonizzazione e una delle fasi calde della Guerra fredda ed è iniziato il più grave psicodramma collettivo che gli Stati Uniti abbiano dovuto affrontare dopo la Guerra di secessione.

Tutto questo è raccontato molto bene da Max Hastings nella sua voluminosa monografia Vietnam. Una tragedia epica (1945-1975) appena pubblicata da Neri Pozza (pagg. 942, euro 30, traduzione di Filippo Verzotto).

Hastings che scrive per il Daily Mail e per il Financial Times è stato un grandissimo inviato di guerra che proprio in Vietnam si è fatto le ossa. Nel tempo poi ha prodotto alcuni dei saggi militari a grande divulgazione più pregevoli degli ultimi decenni, tanto da vincere nel 2008 la Medaglia Westminster per il suo contributo a questo tipo di letteratura.

Questo ponderoso volume sullo scontro di civiltà che ha preso corpo in Indocina si trova esattamente all'incrocio fra queste due vite di Hastings, che nel libro le salda alla perfezione. Il suo percorso cronistico dell'epoca, che l'autore con grande modestia definisce «giornalismo immaturo», gli consente di rendere vivo il racconto e di descrivere nel dettaglio sensazioni ed emozioni di chi nella giungla o nelle risaie ha combattuto ed è morto. La sua grande conoscenza storica e obiettività nel valutare le fonti gli consentono, invece, di mantenersi in equilibrio sui fatti per darne un'interpretazione il più possibile oggettiva e non ideologica.

Hastings compie così due operazioni interessantissime. Da un lato decostruisce la teoria del domino nata dagli studi di Nicholas John Spykman e alla base dell'intervento americano in Indocina a partire dalla presidenza Eisenhower (1953-1961). Secondo Hastings, in nome dell'idea del contenimento del comunismo, gli Usa si piegarono a compromessi inaccettabili e praticarono scelte prettamente militari a spese di quei valori democratici che avrebbero dovuto difendere ed «esportare». Dall'altro dimostra, in maniera inconfutabile, come il regime comunista vietnamita, esaltato da tutta la sinistra occidentale come il Davide che batte il Golia capitalista in nome della giustizia, sia stato spietatamente repressivo e latore di una inusitata violenza.

Mirabili, a esempio, tutte le pagine dedicate all'amministrazione coloniale francese e al suo crollo. La scelta di portare avanti un'economia che favoriva solo i grandi proprietari terrieri ignorando completamente la storia vietnamita, che vantava una secolare resistenza contro la prima potenza coloniale che aveva insidiato il Paese (la Cina), fu di una miopia colossale. Molti vietnamiti avevano introiettato i valori di libertà propagandati dalla Francia, semplicemente non capivano perché non dovessero essere applicati anche a loro.

Il risultato fu un crescendo di rivolte che esplosero definitivamente dopo la Seconda guerra mondiale. La Francia avrebbe potuto scegliere un percorso di decolonizzazione simile a quello portato avanti dalla Gran Bretagna in India. Scelse la brutalità. Che finì per favorire la rivolta di Ho Chi Minh. I contadini non nascondevano le truppe del Vietminh? Gli uomini di Ho Chi Minh prendevano il capo villaggio e lo uccidevano seppellendolo vivo. I contadini per non farsi seppellire vivi nascondevano le truppe del Vietminh? I francesi bruciavano il villaggio per collaborazionismo, trasformando i contadini inferociti in adepti forzosi del Vietminh. Fu così che la Francia venne trascinata a partire dal 1949 (anno in cui lo scontro iniziò a diventare totale) in un conflitto senza speranza. Potenza uscita drasticamente ridimensionata dai rovesci della Seconda guerra mondiale, Parigi rovesciò sul conflitto in Indocina anche un pesante senso di revanche e di recupero dell'onore perduto. Il tutto si trasformò in una gran spocchia militare che poteva essere sostenuta grazie soltanto ai corposissimi aiuti militari degli Usa, che iniziarono ad essere trascinati nel conflitto senza però poterlo davvero gestire.

Non bastasse, dall'altra parte della barricata c'era uno dei generali più abili (e trascurati), come spiega Hastings, del Ventesimo secolo: Võ Nguyên Giáp (1911-2013). Giáp che aveva una formazione giuridica e storica e non era un militare di professione si dedicò a uno studio completo e certosino delle tattiche di Napoleone e Clausewitz per mischiarle a quelle di guerriglia proprie di Mao Zedong che così bene avevano funzionato in Cina. Trasformò l'operazione aviotrasportata francese a Dien Bien Phu (marzo-maggio 1954) in un tremendo boomerang militare che distrusse ogni speranza di vittoria per i militari francesi. Dentro quella battaglia c'è in nuce tutto quello che sarebbe poi toccato agli americani decenni dopo. Giáp sfruttò la giungla per coprire i movimenti delle sue truppe, trasformò la capacità aerea francese da vantaggio strategico a punto di debolezza (per la troppa fiducia che gli ufficiali di Dien Bien Phu ebbero nella possibilità di rifornimento dal cielo), sfruttò costantemente il vantaggio numerico decidendo sempre quando accettare il combattimento e quando no. Una battaglia da manuale che a Westpoint non fu studiata o capita.

E quindi ai soldati americani toccò riviverla all'infinito.

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