Roma

Giuffrè rinnova la farsa che «creò» Pappagone

«La democrazia, questa parola fatata, illuminata, questo lampadario di parole sapete cos’è? È che voi vi tenete la realtà vostra e mi lasciate la mia, sennò sono pasticci» farfuglia il cuoco furbo e bugiardo ai suoi ex colleghi della servitù, ora che il destino lo ha improvvisamente elevato al rango di barone. È uno dei momenti più divertenti e surreali de I casi sono due di Armando Curcio, in cui il protagonista storpia e affastella le parole alla maniera di Pappagone. Non a caso il copione fu scritto nel ’41 dal noto illustratore, giornalista e futuro editore, e ottenne successo grazie all’interpretazione di Peppino De Filippo, che si ispirò al personaggio del cuoco per creare la celebre maschera nata nel ’66 nel programma tv Scala reale. Perla di irresistibile comicità e scintillante malinconia, I casi sono due" torna a brillare al Quirino con la regia di Carlo Giuffré, che ne è anche l’interprete accanto ad Angela Pagano ed Ernesto Lama. La storia si svolge nella lussuosa casa del barone Ottavio e di sua moglie Aspasia, i quali, ormai in là con gli anni, cominciano a sentire la mancanza di un erede. Spinto dal desiderio di ritrovare il figlio illegittimo, nato da una passione prematrimoniale con una cantante, il barone Ottavio assolda un investigatore privato che fa una bizzarra scoperta: l’erede altri non è che Vincenzo Esposito (Ernesto Lama) lo scontroso e rozzo cuoco a servizio in casa dei baroni. Una volta acquisito il nuovo status di nobiltà, Vincenzo inizia però a vessare la servitù sfoggiando modi assai discutibili. Ritmi scoppiettanti, fantasia lessicale e gag esilaranti sono i punti di forza di una commedia leggera d’impianto farsesco che trova nella solida qualità dei protagonisti la sua cifra migliore. Giuffré con questa regia prosegue nell’intento di restaurare il repertorio otto-novecentesco di un teatro che ha fatto scuola nel mondo.

Repliche fino al 10 gennaio.

Commenti