Era inevitabile: la Rete sfrutta sempre di più il grande schermo, affinché i colossi informatici - con la scusa della Settima Arte - possano farsi concorrenza spietata e qualificata sul terreno del social network e dei videogiochi. E mentre il settore cinematografico s’organizza contro la pirateria e lo scarico illegale dei film via Internet, la Rete parla di sé e si presenta come intrigante sfondo per saghe, miti, culti di personalità, amplificando la propria risonanza sul mercato. Basta guardare agli incassi del drammatico film di David Fincher sulla genesi di Facebook, The Social Network (dal 12 novembre, con un passaggio al Festival di Roma nella sezione Eventi Speciali), in cima al box-office Usa con 23 milioni di dollari in due settimane, per capire come emerga una tendenza autoreferenziale in seno al Web, ma proiettata in sala.
Tanto più che è in cantiere la risposta al pianeta «libro di facce» (Facebook è traduzione virtuale dello Exeter Face Book, album fisico con le facce degli studenti dell’Accademia di Exeter: idea copiata da Mark Zuckerberg, nel 2004 fondatore della rete sociale con oltre 500 milioni di utenti, l’11% dei quali ha più di 35 anni). Si tratta di Googled: the End of the World as we know it (Googlati: la fine del mondo così come lo conoscevamo), erigenda pellicola Usa sulla storia di Google, il più potente motore di ricerca fin qui noto. E se il fortunato film di David Fincher (autore di Panic Room e de Il curioso caso di Benjamin Button, basati su effetti visivi particolari) batte l’Europa per lanciare un prodotto, costato alla Sony soltanto 40 milioni di dollari («Non è il tipo di film che Holywood produce normalmente», dice il regista da Berlino, aggiungendo che quasi tutti gli attori hanno ridotto il loro cachet), si evidenzia una contrapposizione netta tra i due mondi virtuali.
Non a caso uniti da una cellula umanistica: il libro che li ispira (The Accidental Billionaires di Ben Mezrich per il film di Fincher e il romanzo di Ken Auletta, intitolato come il film su Google). In linea col manicheismo puritano made in Usa, gli Asociali Cattivi di Facebook contro i Buoni Creativi di Google; l’università di Harvard, frequentata dal già ricco di suo Zuckerberg contro quella di Stanford, dov’erano iscritti i fondatori di Google Larry Page e Sergey Brin, Palo Alto contro Mountain View, cioè la Sony contro Microsoft… Se la frase-chiave di The Social Network è: «Non arrivi a 500 milioni di amici senza farti qualche nemico», lo slogan che ha ispirato Page&Brin nel 1998, anno di fondazione di Google è: «Come fare soldi, senza fare male» (al quale, poi, è seguito: «Come fare a essere seri, senza indossare un completo»). Naturalmente Mark Zuckerberg, interpretato da Jesse Eisenberg, tipino imbranato in odore di Oscar (quale miglior attore giovane, com’è in odore di Oscar The Social Network) non ha visto il film, che lo descrive come uno stronzetto arrivista, ancorché geniale (nella scena d’inizio, lui viene lasciato dalla fidanzata Rooney Mara, che lo trova asociale…). Nel film, scritto da Aaron Sorkin, con personaggi fichi e intellettuali; ambientato dal 2003 ai tempi nostri, con il protagonista pervaso da furore creativo tra blog e linguaggi di programmazione, le amicizie si rompono in nome del denaro (vedi la lite con Dustin Moskowitz e Chris Hughes, co-ideatori di Facebook e la lunga battaglia legale con l’ex-amico Eduardo Severin, anche lui profusore di idee). La gente vuole andare su Facebbok per vedere cosa fanno gli amici? Ora sa che un’idea da milioni di dollari ha nulla a che spartire con l’amicizia. Anzi: Zuckerberg, antieroe tragico che da hacker anarchico diventa presidente d’una società, parte dall’idea che non occorre stare nella stessa stanza per comunicare. Il che è dato di fatto: la cultura della simulazione è diffusa, insieme al determinismo ludico delle ultime generazioni, pronte a condividere su Facebook tanto l’immagine di un cadavere quanto l’indirizzo d’un bar. Meno ricco di colpi di scena, il film su Google invece mostrerà «come i due fondatori cercano di mantenere fede al proprio idealismo», stando a John Morris della Groundswell Productions, che prevede lo sbarco in sala per la fine del 2011.
Intanto, le multinazionali sfornano giochi e cellulari per chi vuol condividere tutte le esperienze di social networking e la divaricazione digitale scava un fossato tra generazioni. Chi è dentro, smanetta. Chi è fuori, s’attacca. Ma non a You Tube.