Caro Granzotto, la recente sentenza del tribunale milanese che ha condannato Google nelle persone dei loro amministratori per violazione della privacy, non rappresenta il primo decisivo passo del controllo della magistratura su Internet e quindi dellaffermarsi di una forma di censura nei confronti del più importante strumento di comunicazione a disposizione dellumanità? Io penso che il governo italiano debba raccogliere lappello lanciato da Hillary Clinton per «una rete globale e libera».
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Oddio mio, gentile signora, anche per questa battaglia dovremmo armarci? Fra grandi e piccole ne abbiamo già in calendario qualche centinaia e se continua così non è tanto che finirà per mancarci il tempo, quanto lentusiasmo necessario per scendere in campo. Non che io sia insensibile ai Valori (maiuscolo) che trasudano da tutti i pori della Rete, non chio non veda in Internet un possente anche se un tantinello ingombrante strumento di dialogo&confronto fra i popoli. Ma quando la citata Hillary Clinton afferma che «Blog, video, messaggi, social network, hanno un ruolo fondamentale per diffondere verità e giustizia» be, non metto proprio mano alla pistola, però siamo lì. No, dico, e le menzogne e le ingiustizie, quelle non vengono diffuse? E la rete di informazioni e collegamenti del terrorismo, Al Qaida in primis? E la pedofilia? E lincommensurabile, quotidiana mole di truffe? E i miliardi di ore di lavoro (retribuito) andate perdute nel chattare, nel trastullarsi proprio con i social network, i Facebook, i Twitter e compagnia bella, in ore di ufficio? Ho letto che a parte linvio e la ricezione di posta elettronica, il grosso del tempo speso una volta connessi a Internet se lo prendono proprio i social network. Cioè la chiacchiera. Finalità non proprio entusiasmante per uno strumento deificato e di conseguenza idolatrato.
Unaltra delle ragioni per le quali non mi scaldo tanto per la minacciata libertà di Internet, anzi, di Google, è che non sono ancora così rincitrullito da ritenere, come altri per conformismo sono portati a credere, che «quod non est in Google non est in mundo», che ciò che non compare su Google non esiste al mondo. Figuriamoci. A parte il fatto che di motori di ricerca se ne contano - e si parla solo dei maggiori - almeno unaltra mezza dozzina (e taluni niente ma niente male), di strade per accedere al «mundo» ce ne sono quanto bastano. E, per parafrasare Metternich, hai voglia a mettere cancelli alle clintoniane verità e giustizia o alle porcherie: li scavalcano. Prenda il video incriminato e che è costato a Google la condanna, quello che ritrae un ragazzo autistico irriso dai compagni. Avrebbe potuto fare il giro del mondo e - quindi essere «in mundo» - con la catena di SantAntonio degli mms, multimedia messaging service che ogni possessore di telefonino, cioè tutti, ben conoscono.
Per concludere, gentile lettrice, lultima delle mie preoccupazioni è che la così detta rete globale possa esser soggetta a canoni, regole, discipline o altri strumenti assimilabili alla censura.
Google, il motore che fa viaggiare anche la monnezza
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