Per la grafica e il colore ce l’abbiamo messa tutta

Caro Granzotto, a ferro caldo. Benissimo l’articolo di fondo più breve e tutto in prima pagina. Ma perché ancora persistete - rimandando necessariamente ad altra pagina - nel troncare un periodo invece che farlo terminare con un punto (contrariamente a tanti altri quotidiani)? E infine, perché S. Filippi scrive: «Ma soprattutto sono interamente colorato, dalla prima all’ultima» pagina? Francamente del colore non me ne importa nulla, ma perché quella affermazione quando - almeno nel primo numero «con l’abito nuovo» - le pagine non colorate sono 27 su 40?
Spero che il sempre gradevolissimo Granzotto - anche con la faccia nuova - mi dia una risposta soddisfacente come tante altre, lette sempre con grande piacere.


Ma come, caro Romani, non mi dice niente della nuova grafica? Non esulta per questo Giornale più compatto, più rigoroso senza tutta quell’aria, quel bianco che aveva prima? Mi viene a parlare del «giro» degli articoli, nota da sempre dolentissima, e del colore ma non della geometrica eleganza dell’impaginato, che quello conta? Vede, caro Romani, nessuno vorrebbe «girare» (cioè, ci siamo capiti, far seguire un articolo da pagina uno ad altra), ma fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Una volta, quando il testo era composto con le linotype, si diceva: «Il piombo non è gomma». La qual cosa significa che in una colonna tante righe entrano: se ne possono aggiungere o togliere un paio lavorando sull’interlinea, ma per il principio dell’impenetrabilità dei corpi più in là non si va. Pertanto, se il pezzo è lungo, tocca girare. Lei dice: perché non lo fate girare dove cade un punto? O meglio ancora, aggiungo io, dove cade un a capo? La ragione è semplice: punti e capoversi capitano dove capitano e spesso non capitano dove farebbe comodo. Si potrebbe ovviare tagliando qualche riga, limando qua e là, ma se lei conoscesse i giornalisti saprebbe che a tutto sono disposti, meno che a vedere un loro articolo - giudicato da essi stessi, me compreso, un mirabile distillato dell’umano sapere - amputato anche d’una sola virgola. Tagliatemi lo stipendio (oh, si fa per dire), non il parto del mio incontestabile ingegno.
Il colore (che come avrà notato ora compare, quando occorrente, in tutte le pagine). A lei non gliene importa un fico secco, ma badi che se usato con criterio, non è mica male. Non appagano il suo senso estetico quelle belle testatine in color pastello, non trova più «leggibili» le fotografie in quadricromia? Anche quando dapprima il cinema e in seguito la televisione passarono dal bianco e nero al colore ci fu chi storse il naso. Ma vorrei proprio sapere se chi lo fece ce l’ha ancora storto, il naso, rimpiangendo i vecchi tempi. E poi, guardi, è sempre poco chic parlar di palanche, ma il colore è ambìto dagli inserzionisti pubblicitari e la pubblicità è linfa vitale per i quotidiani.

Più ce n’è e più si può spendere, più si spende e più il giornale è ricco di notizie e di firme di prestigio, più è ricco di notizie e di grandi firme e più il lettore - luce dei nostri occhi - è contento (ma badi, caro Romani, che per accontentarla non rinuncerò alla mia fotina a colori: oltre a ritenere i nostri elaborati intagliabili, noi giornalisti siamo affetti da quello che chiamava, ammettendo di covarlo, il complesso di Wanda Osiris).
Paolo Granzotto

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