Cultura e Spettacoli

Il grande ribaltone dell’editoria

Il grande ribaltone dell’editoria

L’impalpabile ebook, con la sua per ora quasi invisibile quota di mercato, è comunque riuscito in un paio di anni a sparigliare le carte nel mondo dell’editoria. Oggi abbiamo librai digitali che si mettono a fare gli editori o i bibliotecari privati (Amazon, il cosidetto «Walmart dei contenuti»), case editrici che pensano di offrire servizi di auto pubblicazione (progetto Mondadori), agenti letterari che diventano editori in proprio (il caso di Andrew Wylie, che però pare usi la sua Odysseus solo come arma di ricatto contro Random House) e autori affermati che si pubblicano da sé, sul web, bypassando ogni intermediazione e intascandosi il prezzo pieno o quasi.
L’anello debole in tutta questa rivoluzione, la figura «a rischio estinzione», è l’agente letterario. Per un paio di anni gli agenti hanno «tirato avanti» ricontrattando i diritti per traghettare il catalogo storico degli editori in digitale. Si firmavano mazzi di contratti ogni settimana. Poi, il vuoto. Di che vivere, con i tagli alle uscite editoriali per via della crisi? Di scouting? Di letture di manoscritti? Oltretutto fioccavano accuse: «Gli agenti letterari? Dei conservatori» disse Riccardo Cavallero (Mondadori) prima dell’ultima Fiera del Libro di Francoforte.
«Per adesso - ci racconta Simone Morandi, dello studio Cau Morandi Minutillo Turtur di Roma, tra i pochi cross over tra letteratura e cinema - quello che stiamo facendo nel digitale è soltanto preparatorio, è una scommessa. Oggi con gli ebook non si rendiconta un centesimo. E sì che siamo stati il primo studio italiano a trattare il copyright digitale: tra il 1999 e il 2007 curavamo i diritti mondiali per Pirandello, la Mondadori aveva tenuto per sé solo la gestione di quelli italiani, e dall’America ci arrivavano queste strane richieste di diritti per lo “sfruttamento elettronico”. Negli Usa le cose funzionano per il basso prezzo degli ebook, quasi quello di un paperback, e per il traino delle anteprime su Amazon. Gli autori italiani, invece, sono disinteressati ai diritti digitali: tra i nostri, solo Antonio Pennacchi ne ha fatto una battaglia intransigente».
C’è anche chi, tra gli agenti, ha giocato al rilancio, ampliando la propria area di competenze: «Innanzitutto - ci dice Vicki Satlow, agente, tra gli altri, di Susanna Tamaro - tutti gli autori vogliono ancora l’edizione cartacea, quindi il business è quello. Per adesso». Esiste, però, il pericolo che qualche autore di bestseller decida di autopubblicarsi, falciando via agente ed editore. «Occorrerebbe - commenta Satlow - che dedicassero parecchio tempo ad autopromuoversi sul web, molto più di quanto facciano ora. Sono pochi ad averne voglia e a saperlo fare. In futuro tra i servizi proposti dagli agenti letterari potrebbe esserci questo. Non tutti gli editori sono come St Martin’s Press, che ha portato via dalla Sony un esperto di musica, per fare del marketing efficace. Perciò, come agente, sono fiduciosa, anche se il “business model” dell’ebook non ha trovato una sua sostanza. Sappiamo solo che chi vendeva due milioni di copie, metti Le Carré, continua a venderne due milioni: di cui il 20 per cento in ebook. Altro discorso è la vanity press: qui ha ragione Mondadori, gli affari sono affari, loro prendono, metti, il 30 per cento su ogni libro venduto e si riempiono di contenuti, perché non dovrebbero andare in questa direzione? Anche contro gli agenti».
Argomento affrontato anche con Marco Vigevani, agente letterario a Milano: «Quello che speriamo noi che facciamo questo mestiere antiquato è che ci sia sempre bisogno di una figura che tratti per conto degli autori quando, ed è probabile, Amazon sarà diventato monopolista nel mercato degli ebook, pubblicazione compresa. Intanto, i nostri contratti digitali hanno un orizzonte di un paio di anni: poi si vedrà se è il caso di rinegoziarli perché il mercato dell’ebook si sarà ampliato».
E c’è da sperare che si ampli parecchio: le percentuali che riescono a strappare gli agenti più affermati vanno dal 17 al 20 per cento del prezzo di download, oppure il 25 per cento sui ricavi netti (cioè una volta tolta la percentuale della distribuzione).

In un mercato per il momento così di nicchia, è già tanto se ci si paga il caffè la mattina.

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