Egitto

Guai a chi sottovaluta il pericolo del fondamentalismo

Insieme alla riflessione, costante e preoccupata, sul futuro egiziano, spontaneamente, ci si rivolge alla memoria passata e rivedo i prodromi di quello che è già successo in Iran e in Afghanistan

Guai a chi sottovaluta il pericolo del fondamentalismo
di Souad Sbai*

Molto spesso, davanti alle manifestazioni di piazza che in questi giorni infiammano il Cairo, sale una strana sensazione. Contemporaneamente alla riflessione, costante e preoccupata, sul futuro egiziano, spontaneamente, ci si rivolge alla memoria passata e rivedo i prodromi di quello che è già successo in Iran e in Afghanistan. Si, perché non posso fare a meno di osservare, con spirito fortemente negativo, l’atteggiamento della Clinton e di Obama rispetto alle vicende egiziane.

L’interesse obamiano per il futuro dell'Egitto è ossessivo, costante, quasi morboso. Ma tardivo, evidentemente, visto che le riforme e la democrazia sono attese da decenni e non da oggi. È singolare come l'amministrazione americana sia però straordinariamente attenta alla voce di chi vuol rovesciare Mubarak con la forza della piazza e invece colpevolmente sorda verso chi teme l'ascesa dei Fratelli Musulmani. Nessuno ha sostenuto Mubarak nel momento più difficile, per lui e per il paese. L'analogia con l'Iran e l'Afghanistan è evidente, soprattutto quando si pensi ai mujaheddin utilizzati per cacciare i sovietici e poi abbandonati ad un drammatico destino contro i talebani, piuttosto che alle manifestazioni contro Ahmadinejad represse nel sangue. Risiede proprio in questo squilibrio fra le voci in campo il rischio più grave che corrono l'Egitto e tutto il quadrante mediorientale: spianare la strada al fondamentalismo, di cui i Fratelli Musulmani sono la più fervida espressione moderna.

Ciò cui stiamo assistendo, si badi bene, non è solo un fenomeno a macchia di leopardo, ma qualcosa di più serio e pericoloso. Ormai è evidente che trattasi di una rivoluzione «forzata», «manovrata dall'esterno» e non naturale e di carattere culturale come in Tunisia. I Fratelli Musulmani non hanno interesse alla Presidenza dell'Egitto, ma al cuore del Paese, al Parlamento, con tutta la sua forza creatrice. Vogliono agguantare la capacità di modificare tutto senza stare davanti ai riflettori, così da eroderne le radici con maggiore tranquillità.

E poi El Baradei. Come può, un uomo che manca dalla sua terra da oltre venticinque anni, pensare di tornare e mettersi a capo di una piazza che vuole destituire Mubarak? Più è evidente la sua debolezza politica, più si materializza il suo accordo con i Fratelli Musulmani. Un accordo che sa di pericolo anche solo a parlarne sottovoce.
Gli americani non hanno mai nemmeno guardato alla classe dirigente interna, ad esempio alla figura di Tarek Heggy e altri, che hanno sempre lavorato contro il fondamentalismo islamico e per la crescita dell'Egitto. Heggy da tempo denuncia il fatto che in Egitto non si può avere stabilità senza la partecipazione del 65% della popolazione (donne e copti)e che il Paese debba voltare pagina, ma che non può farlo con un Islam dogmaticamente regressivo e xenofobo contro i valori del progresso.

I Fratelli Musulmani, che incarnano questi due principi nefasti, non possono garantire al Paese un avvenire democratico, improntato alla crescita e allo sviluppo e occorre combattere con tutte le forze possibili per strappar loro di mano la possibilità di utilizzare l'Egitto come base per la conquista fondamentalista del quadrante mediorientale.
*Deputato Pdl

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