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Ha un volto Peter, l’amore di Anna Frank

Ad Anna piacevano i suoi occhi scuri, quel ciuffo di capelli che ogni tanto gli cadeva sulla fronte e quel naso sottile, impertinente, un po' a punta. Ma era quel sorriso sardonico, quel modo di guardare di sghimbescio che l'avevano conquistata. Lui si chiamava Peter. Peter Schiff. Lei era Anna Frank. E poiché tutti sanno chi era Anna Frank, converrà prima dire di lui, di Peter, il ragazzino che Anna avrebbe voluto un giorno sposare se le cose, il destino, la guerra, la grande fossa spalancata dai nazisti sotto i piedi degli ebrei in Europa non avessero deciso altrimenti.
Anna e Peter si conobbero a scuola nel 1940, quando Anna e i suoi familiari, in fuga dalla persecuzione nazista, avevano già lasciato la Germania per riparare in Olanda. Due ragazzini come tanti, a passeggio lungo i canali di Amsterdam, talvolta mano nella mano. È lei stessa, nel suo celebre diario, ad accennare a quella felice stagione della sua vita.
Sessant'anni dopo è saltata fuori la foto di Peter. L'ha pubblicata il domenicale britannico Observer. Era persa in mezzo a centinaia di altre foto ingiallite dal tempo nella casa londinese di Ernst Michaelis, un vecchio compagno di scuola di Peter. I due amici si erano scambiati le rispettive foto con dedica (una piccola foto, di quelle che corredano i documenti di identità) nel 1939, l'anno cruciale degli addii, quando la famiglia Schiff, di origine ebraica come i Frank, si trasferì in Olanda nel tentativo illusorio di sfuggire alla persecuzione nazista e all'Olocausto che si preparava.
Perché ci siano voluti sessant'anni per vedere il volto di quel ragazzino non si sa. Una spiegazione buona non ce l'ha neanche il proprietario della foto, che oggi ha 81 anni. Lui dice che già negli anni Cinquanta, quando gli era capitata tra mani per la prima volta una copia del «Diario» (pubblicato nel 1947 con uno strepitoso successo mondiale dal padre di Anna, Otto) aveva avuto un sospetto. «Vuoi vedere - aveva detto alla moglie - che questo ragazzino di cui parla la povera Anna è proprio il mio amico Peter?». Poi, sapete com'è. Uno si dice: figurarsi, è una mia fantasia. Insomma: alza le spalle e non ci pensa più.
Fino all'anno scorso, quando passando accanto a una bancarella il suo sguardo non fu catturato dall'immagine di Anna che campeggiava su un'edizione più recente del suo diario, quello per così dire originale; non quello «purgato» (per una sorta di pudore e rispetto) dal padre che aveva visto la luce nell'immediato dopoguerra.
Fu la moglie di Michaelis, quando vide il marito rientrare con quel libro, a tornare sull'argomento. «Non mi avevi detto una volta che tu sapevi chi era il fidanzatino di Anna Frank?» gli domandò, incuriosita. Insieme si misero a frugare tra i vecchi album di famiglia e di decennio in decennio, passando da quelle ingiallite a quelle color seppia, tornarono alle immagini di quella lontana stagione.
Sì, quella foto formato tessera di Peter Schiff c'era ancora. Fu a quel punto che il vecchio Ernst si disse: «Come è possibile che non sia mai stata pubblicata una foto di Peter? Eppure, Peter è nel cuore della storia». Indagò. Telefonò a certi amici in Germania, fece ricerche in Olanda. Sì, non c'erano più dubbi.
Quando conobbe Peter (che lei nel diario chiama Petel) Anna aveva 11 anni, tre in meno del suo «fidanzatino». E a lui continuò a pensare, struggendosi nel ricordo di quelle passeggiate e delle promesse che si erano scambiate nei due anni che passò nascosta prima di essere arrestata con tutta la famiglia e deportata nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, dove morì di tifo nel 1945. Lui si era un pochino raffreddato, negli ultimi tempi. Ma Anna, nel ricordo, scacciava quel pensiero funesto con la testardaggine delle donne innamorate. «Amo Petel come non ho mai amato nessuno», confida a una pagina del suo diario ancora nel 1944, tre settimane prima di essere catturata. Morì anche lui. I nazisti lo presero e non se ne seppe più nulla.

Neppure il luogo in cui vide per l'ultima volta il colore del cielo.

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