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Haiti, fermati 10 americani ladri di bambini

Sono tutti membri di una associazione religiosa, sospettati di voler portare illegalmente 33 piccoli nella Repubblica Dominicana. Loro si difendono: "Volevamo solo fare del bene". Ancora sospesi i voli umanitari verso la Florida per i feriti più gravi

Haiti, fermati 10 americani ladri di bambini

Poiché evidentemente la bravata dei medici portoricani ubriachi, in posa con la segaossi o con il mitra non bastava, eccoci allo scandalo degli americani che cercano di portarsi via alla chetichella da Haiti un gruppo di bambini, proprio come se fossero cosa loro. Ladri? Ma no, non scherziamo. Loro dicono che se li stavano portando via, nella confinante Repubblica Dominicana, a fin di bene. Per aiutarli, per tirarli fuori dal caos seguito al terremoto. Per rivestirli, rifocillarli, curarli. Sta di fatto che, nel migliore dei casi (posto che di questo si tratti, e non di sequestro di persona) si sono comportati come padroni in casa altrui. Si chiama arroganza, e posto che di questo si tratti, ripetiamo, la storia finirà in nulla, non figurando l’arroganza e la protervia tra le fattispecie previste dal Codice penale.

Gli americani fermati sono dieci, cinque uomini e cinque donne. Fanno parte di una congregazione religiosa di quelle che si usano in America, la Chiesa battista dell’Idaho. Anche questa, gente in missione per conto di Dio, come Jake ed Elwood, i Blues Brothers del famoso film. Solo che Haiti, soprattutto di questi tempi, non è un set cinematografico. I bambini «rubati», in numero di 33, hanno fra i due mesi e i 12 anni, e non sembravano molto contenti della gita fuori porta organizzata dal gruppo yankee.

«L’idea era di portare i bambini in una zona dove potevano ricevere cure, cibo e vestiti», ha detto serena alla polizia Laura Silsby Lavonne, la profetessa che guidava la spedizione, spiegando di aver acquistato una proprietà a Santo Domingo (a questi delle sette i soldi non mancano mai, ndr) dove intende costruire un orfanotrofio per i bambini haitiani rimasti senza genitori. «In questo caos, stavamo soltanto cercando di fare la cosa giusta al momento giusto», ha aggiunto la signora Silsby in attesa di essere ascoltata dal giudice. Non è dello stesso avviso, a proposito della «cosa giusta» Edwin Paraison, ministro degli haitiani all’estero, il quale ha ribadito che i minori possono lasciare il Paese soltanto con il permesso del ministero per gli Affari Sociali. «A prescindere da ogni valutazione delle intenzioni dei fermati, siamo di fronte a una violazione della legge». Mentre un altro funzionario ha aggiunto: «Qui non siamo di fronte a un’adozione, qui siamo di fronte a un furto».

Sulla faccenda, oggettivamente imbarazzante soprattutto dopo che il governo di Haiti e l’Unicef avevano denunciato la scomparsa di bambini ipotizzando un traffico di adozioni illegali, stanno indagando anche i funzionari del consolato americano sull’isola. Loro, i nove battisti, ostentano la calma di chi «ha visto la luce» ( come Jake dei citati Blues Brothers nella scena con il predicatore James Brown) e di chi ha la Verità in tasca e nulla li può ferire. «Dio ci dà forza e conforto. Stiamo bene, abbiamo le nostre Bibbie e tutto è Ok», ha dichiarato di conseguenza uno dei fermati.

In attesa che la verità venga alla luce, e l’equivoco si chiarisca, la signora Silsby difende a spada tratta l’operato del suo gruppo di incursori della fede. Anche la sua associazione, la New Life Children’s Refuge, ha fatto sentire la sua voce dall’Idaho, ribadendo la versione della Silsby e giurando che si tratta di un equivoco. Ancora sospesi, pare di capire, restano intanto i voli umanitari da Haiti alla Florida riguardanti feriti gravi che hanno bisogno di essere curati in ospedali attrezzati. In attesa di capire chi pagherà il conto, come diceva l’altro ieri il governatore della Florida, i voli da e per Haiti ieri sono ripresi.

Ma senza malati a bordo. Il governatore Charlie Crist, in corsa per le elezioni di medio termine tace prudente, per evitare gaffe davanti a qualche telecamera. In sua vece, anche ieri si è affacciato dai teleschermi il suo portavoce, Sterling Ivey, che con un discorso ancora più soave di quello pronunciato ieri, e soffuso di aggettivi incoraggianti, ha spiegato che la sostanza non cambia.

«La Florida è pronta ad aiutare i nostri vicini di Haiti - dice Ivey, - ma abbiamo bisogno di un piano di azione e di rimborso per le terapie che stiamo fornendo». Appunto: chi paga?

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