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Hamas si gode il potere e vuol lasciare tutto com’è

GazaNon più un posto sicuro? Su questo possiamo discutere, dice un cooperante che nella Striscia c’è stato più volte. Perché quella lingua di terra, una zona in cui sentirsi protetti non lo è stata mai. Ci si sente chiusi, ma gli abitanti hanno ormai imparato a convivere con l’embargo. I tunnel che oltrepassano il confine egiziano hanno raggiunto quota 2.500 circa. Da lì arriva quasi tutto. La sicurezza, però, non la si può mettere in uno zaino e trascinarla fin là. L’uccisione di Arrigoni non è chiara neppure a chi, da oltre vent’anni, segue da vicino i lavori di cooperazione a Gaza. Impossibili da coordinare e difficili da censire, le Ong presenti lavorano in uno stato di semi indipendenza: ci si coordina con le autorità locali, ma soprattutto con i privati, che nell’ultimo periodo hanno esteso la loro influenza al controllo dei tunnel.
Secondo fonti locali sono almeno mille quelli che Hamas, tacitamente, lascia gestire a soggetti non inquadrati nel movimento islamico: una nuova fase che ha cambiato la situazione a Gaza. La maggior parte della popolazione è lì dal 1948. I profughi sotto la tutela Onu sono almeno un milione. Gli altri seicentomila abitanti si devono organizzare per conto proprio, per vivere alla giornata. C’è chi, non potendo aspirare ad altro, per la forza dell’abitudine comincia a pensare che quella sotto embargo sia vita. Il business del commercio sotterraneo è fiorente.
I cooperanti devono arrangiarsi. Si collabora con i sindaci. Ma il governo di Hamas è più un’idea propagandata agli abitanti che un’istituzione affidabile. I nuovi gruppi d’ispirazione islamica premono per rompere lo status quo, che al movimento islamico fa comodo. D’altronde la maggior parte dei tunnel, dunque il commercio, è ancora nelle loro mani. Le tasche si riempiono grazie agli accordi per il passaggio dei beni. Qualcuno sostiene che i tunnel continuano ad essere tollerati da Israele perché lo stallo, fino alla tragedia di Arrigoni, ha fatto comodo un po’ a tutti. All’Onu, che ha il suo bel daffare con il milione di profughi; a Israele che, se decidesse di interrompere l’embargo, potrebbe vendere prodotti agli abitanti di Gaza, ma dovrebbe fare i conti col boicottaggio del movimento islamico. Anche a Hamas conviene lo status quo, perché continua a far credere alla popolazione che, tutto sommato, con loro la Striscia può vivere bene anche così. Un esempio? Molti ragazzi si sposano e provano a immaginare un futuro a Gaza. Costruendo case con cemento di terza scelta.
Chiudere i tunnel significherebbe affamare la popolazione. Sarebbe un disastro anche per la diplomazia, che non ha né le risorse né la forza per affrontare lo stallo. Quel che è successo nella Striscia fa sperare una cosa soltanto, a Hamas come agli altri: che non si aggiunga una nuova forma di violenza interna. Quella di chi è stufo di un Hamas fattosi apparentemente docile. I gruppi salafiti stanno diventando i nuovi antagonisti, ma come alternativa propongono violenza, rapimenti e morti occidentali.

Togliere a Gaza lo status quo potrebbe dunque significare il collasso.

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