Cultura e Spettacoli

Harrison Ford: «Sono condannato a recitare sempre lo stesso ruolo»

«Nessuno ha visto K19. Così in “Firewall” appaio come il pubblico vuole»

Claudia Laffranchi

da Los Angeles

Dopo alcuni film di scarso successo commerciale come Hollywood Homicide e K19, Harrison Ford torna a interpretare il personaggio che il grande pubblico ama: laconico, attivo, un uomo normale costretto a battersi da eroe per salvare se stesso e i suoi cari. In Firewall Ford è un esperto di sicurezza in una grande banca. Quando un gruppo di malviventi fa irruzione a casa sua e prende in ostaggio la sua famiglia, Ford sarà costretto prima a trasferire 100 milioni di dollari sui conti dei criminali con sofisticate operazioni online, poi a lottare in modo più convenzionale, faccia a faccia, per salvare moglie e figli. E durante l'intervista Harrison Ford dimostra di essere molto simile ai suoi personaggi-tipo: di poche parole, a disagio nel rituale della domanda e risposta, ma obbligato suo malgrado al rito promozionale dal senso del dovere e dalla coscienza di essere un prodotto che deve rispettare precise regole di marketing.
Firewall mostra alcune delle minacce tecnologiche che pervadono la nostra vita. Quale è il suo rapporto con la tecnologia?
«Come tutte le cose la tecnologia può essere usata a fini di bene o di male, ma non penso che il film la presenti in modo negativo in quanto tale. Se metti la testa di una persona in un piano a coda e lo richiudi di colpo, la colpa non è del piano, ma di chi commette l'azione. Firewall non è un film sulla tecnologia, ma su di un gruppo di persone che vivono e lavorano in un mondo tecnologico, e il film racconta di come la gente si comporta in casi estremi».
È un appassionato di gadget hi-tech?
«Non sono un fanatico di tecnologia come il regista Richard Loncraine, che ha installato sofisticati sistemi di sicurezza e sta sempre a guardare quello che succede nelle sue varie case tramite il suo computer portatile. Diciamo che uso la tecnologia quando mi fa comodo».
Ma deve avere un buon rapporto con essa in quanto pilota di aerei ed elicotteri...
«Se non sai cavartela senza tecnologia sei nei guai, perché gli strumenti più sofisticati vanno spesso in tilt. La tecnologia è comoda quando funziona, ma quando non funziona sei costretto a ritornare all'abc, come fa Jack nel film».
E come si comporta lei in situazioni di stress?
«È una domanda un po' troppo generale e personale, non saprei cosa rispondere. O piuttosto non voglio, voglio poter decidere che tipo di bugia raccontare, così da farla sembrare vera. Non parlo propriamente di mentire, direi piuttosto che preferisco censurarmi così da essere appropriato. La stampa non avrà mai tutta la verità da me. Sono qui in una situazione professionale, per attirare attenzione su di un film, e renderlo interessante e intrigante come penso che sia».
Virginia Madsen, Paul Bettany e il regista dicono che lei è stato molto attivo in tutti gli aspetti del film, dalla sceneggiatura al casting. Lo ha sempre fatto?
«Mi sento responsabile del risultato finale, penso che la gente vada al cinema perché nel passato è rimasta soddisfatta da altri prodotti che ho proposto loro, quindi voglio essere sicuro che il prodotto che offro ogni volta è il migliore possibile. Nessuno darà la colpa a Richard Loncraine se il film non va bene, perché in fin dei conti è la mia faccia quella che si vede sul grande schermo. E in caso di flop prenderei più critiche di Paul Bettany, la cui faccia è anche sullo schermo, perché io sono un prodotto, un brand. Non è una cosa che ho pianificato di essere, ma è la realtà».
Le piacerebbe infrangere il marchio di fabbrica Harrison Ford, la sua immagine, e recitare in un ruolo completamente diverso e del tutto inatteso?
«Come in K19? Nessuno ha visto quel film, è stato un problema. Non per me, perché mi è piaciuto farlo, e penso che sia un film interessante e di qualità, e che tutti, dalla regista agli attori, abbiano fatto un ottimo lavoro. Il problema del film ero io, perché recitavo in un ruolo (quello di un ufficiale di marina sovietico, ndr) che non è quello in cui il pubblico vuole vedermi. Ogni tanto posso permettermi di dire “all'inferno tutti se non capiscono che questo è quello che voglio fare”, ma non posso pensare così sempre, perché alla fine questo ostacolerebbe la mia capacità di fare quello che mi piace fare, cioè lavorare».
E a che cosa è dovuto questo look insolito, baffi e barbetta?
«Sto girando un film che si svolge durante la guerra civile, intitolato Manhunt, che racconta la caccia a John Wilkes Booth, l'assassino di Abramo Lincoln.

Interpreto un detective dell'esercito americano, e all'epoca tutti i militari avevano barba o baffi».

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