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"Ho fatto il becchino e il falegname. Ciò che conta davvero è tacere e fare yoga"

Fratel Tommaso Bogliacino: "Per ritrovarsi non si può stare fra la gente"

"Ho fatto il becchino e il falegname. Ciò che conta davvero è tacere e fare yoga"

nostro inviato a Padenghe sul Garda (Brescia)

A volte basta poco per isolarsi dal mondo: qualcosa come una stradina in salita che a stento fa passare un'auto. Desenzano con il lago e le discoteche è a 10 minuti, sull'altro versante della collina sorge un resort con golf club esclusivo. Campagna, boscaglie, sentieri, agriturismi. E una vecchia cascina da cui esce odore di minestrone. Fratel Tommaso Bogliacino è sulla porta accanto al cartello «Pace e gioia»: l'eremitaggio è una dimensione dello spirito prima che dello spazio-tempo. All'interno è tutto come cinquant'anni fa: una stufa in ogni locale, la cucina economica a legna, le perline di abete fino a metà parete. Regna un silenzio rustico e severo che non mette a disagio. «Siamo in comodato», dice l'eremita. Non paga l'affitto ma l'accordo ha una scadenza. «Siamo provvisori, come tutti in questo mondo. È un bene, ci permette di essere più liberi nei rapporti. Il possesso lega sempre le mani, la struttura è nemica». Eccolo, l'eremo: significa trovarsi anni luce dalla mentalità dominante.

Bogliacino, 77 anni, è un prete dei Piccoli fratelli del Vangelo di Charles de Foucauld, nobile francese beatificato da Benedetto XVI che visse a cavallo tra Ottocento e Novecento nel Sahara algerino secondo lo «stile di Nazaret»: preghiera, silenzio, lavoro manuale, assistenza ai poveri.

L'eremo è il luogo naturale di questa esperienza. Fratel Tommaso ci è arrivato attraverso un percorso tortuoso. Cuneese di Alba, era prete in una parrocchia quando conobbe Carlo Carretto, che a Spello in Umbria aveva trasportato la spiritualità di de Foucauld. «Ho scoperto un rapporto con Dio libero, direi laico. Un rapporto da uomo prima che da prete».

SACERDOTI-OPERAI

Lasciò la diocesi e si unì ai Piccoli fratelli, preti lavoratori senza parrocchia che vivono la realtà di tutti: «Anche Gesù fece l'operaio. Rimasi a lungo a Spello fra moltissimi giovani: in certi periodi gli eremi aperti erano una ventina. Poi andai sette anni in Sardegna, ero dipendente comunale: facevo il becchino». Quindi la Tanzania, 12 anni, lavoro da contadino e da falegname in villaggi miseri abitati da malati di Aids e fuggitivi della guerra civile ruandese. «Un anno sabbatico in India dove entrai in contatto con l'induismo, una profonda esperienza di spiritualità, quasi mistica. La religione dovrebbe aiutare a diventare mistici, a non fare le cose per dovere ma per amore. È la bellezza che salverà il mondo». Antiche verità riprendono corpo in questo mondo a parte.

Dopo l'Africa Bogliacino è volato in Francia per due anni in una comunità dei Piccoli fratelli: gli altri lavoravano, lui si occupava dell'accoglienza. Ma quello che cercava era un luogo separato, un'enclave di «silenzio condiviso», un nucleo minimo con alcuni laici (al momento c'è solo una persona fissa, un'anziana consacrata alla Fraternità) e la possibilità di ospitare per brevi periodi chi ha bisogno di ritrovare se stesso: un punto d'appoggio nelle crisi in attesa di sbocchi più stabili. Nemmeno per fratel Tommaso l'eremo di Padenghe è una soluzione definitiva.

Nella corte sono parcheggiate alcune auto. Nei ricoveri agricoli qualche macchinario. Ulivi nei campi terrazzati alle spalle della cascina e una serra per coltivare frutta e verdura. Una stanza al pianterreno è adibita a cappella per le messe e la preghiera. Per terra tappeti, panche lungo i muri, sgabelli di legno, piccoli inginocchiatoi sparsi, libri di spiritualità e bibbie, l'immancabile stufa. C'è qualche coperta ripiegata, evidentemente qualcuno vi resta a lungo. Un'icona appesa dietro il tavolo che funge da altare.

SENZA LEGGE

«La nostra è una realtà semplice», racconta nella sala delle riunioni, un fienile riadattato con un tavolone lungo, libri sugli scaffali, la stufa, la bandiera arcobaleno della pace, lo split di un condizionatore. «Diamo la possibilità a Dio e all'uomo di riposare assieme. Il clima è familiare, gli orari sono comuni, c'è il lavoro nei campi, la preghiera, la messa: alla domenica celebro alle 11 e quando c'è bel tempo la chiesetta più bella è all'aperto, sotto l'albero della corte. Il giovedì pomeriggio o il martedì sera leggiamo il Vangelo. Partiamo da lì, non dal catechismo, dalle regole». In realtà qui nulla è obbligatorio, non c'è una legge da rispettare con rigore, tutto è proposto alla libertà. «Nessuno si salva da se stesso, ma nessuno può essere salvato se non vuole. Ospitiamo gente di ogni religione. Viviamo un rapporto diretto con l'ambiente che ci circonda. Spesso ci alziamo presto per vedere l'alba, camminiamo nel silenzio, respiriamo nella natura. Nella vita quotidiana siamo chiamati a coltivare e custodire, non a dominare, nello spirito dell'enciclica Laudato si'. Il nostro compito è cogliere la presenza di Dio in tutto il reale, negli esseri viventi come nelle pietre dei deserti e delle montagne».

Ma che cosa aggiunge l'eremitaggio? Non si può vivere con distacco interiore anche in mezzo alla gente?

SENZA RADIO E SENZA TV

Fratel Tommaso sorride, lui ha girato il mondo e conosce la differenza: «Occorre dare spazio e tempo per incontrare se stessi. Una delle cose importanti è fermarsi ogni tanto. Siamo fatti per camminare, tutto il mondo è in movimento, ma bisogna fermarsi. Lo dico a chi capita qui e lo ripeterei ai grandi del mondo: férmati. Mezz'ora al giorno prega, rifletti, fa yoga, medita. Ascolta te stesso nel profondo. Il silenzio del non parlare è importante e noi lo curiamo molto, ma il tacere dev'essere un ascolto interiore per insegnarci che il parlare non deve mai essere vuoto, un chiacchiericcio. La parola serve se aiuta la relazione con l'altro». Il silenzio si rompe a ora di pranzo. È il momento in cui chi si trova a Betania si ritrova. Gli sconosciuti si presentano, raccontano da dove vengono compresi gli ospiti: «L'inizio di una fraternità, il Vangelo dice che Gesù ha fatto a tavola gli incontri più belli», spiega l'eremita. Il cibo arriva in gran parte dalla generosità dei vicini e degli amici della fraternità. Verdure, pastasciutta, frittata fatta da fratel Tommaso; niente carne. Dialoghi semplici ma profondi. Si parla quando si ha qualcosa da dire, senza sovrapporsi né dialettizzare, si bada a che cosa si dice non a chi lo dice. È un'esperienza strana ma affascinante nell'epoca dei battibecchi sui social. La televisione non c'è e neppure la radio. I rapporti con il mondo sono tenuti con un vecchio computer acceso una mezzora prima di andare a dormire. All'eremo sono arrivati immigrati, divorziati, poveri, disabili, adulti con disagi. Le nuove marginalità. «Accogliamo tutti ma per brevi periodi. Dev'essere chiaro per chi arriva. Non si arriva qui per sistemarsi nemmeno in affitto ma per riposare, riflettere, possibilmente recuperare il rapporto con Dio. La regola, la struttura è nemica. Anche se è lontano dal mondo, questo non è un rifugio ma un luogo di sosta, dove dirci che è bene che ciascuno di noi esista.

E nel silenzio si capisce che Dio è la mia vera identità».

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