I festival culturali non vendono merci ma legami sociali

Continuo a leggere polemiche sull’aumento di festival culturali e peggio ancora contestazioni verso gli Enti Locali che li finanziano. Sono considerazioni inutili. Finché il mondo culturale non comprenderà che le sue variegate rappresentazioni non sono solo sterili virtuosismi intellettuali, ma devono diventare occasioni sociali di gestione intelligente del «tempo libero» per i suoi «fruitori», si continuerà a stare fuori dalle dinamiche che stanno caratterizzando la contemporaneità. Si continuerà a rimanere alla finestra ad aspettare che un novello Mecenate faccia piovere finanziamenti su eventi che a mala pena interessano persino i diretti congiunti del loro creatore. Un fatto è certo: fortunatamente esistono ancora persone che decidono di investire una parte del proprio tempo nel leggere, visitare, informarsi, godere del «bello». Vale la pena far loro cambiare idea o ancor peggio diminuire il ventaglio di scelta a vantaggio di un intellettualismo becero e classista? Vale la pena continuare ad annuire a un sistema di critica che ha come dogma il concetto «Io avrei fatto meglio» ma ha come fine il non lasciar spazio al confronto? In tempi di scarsità di finanziamenti per la cultura la risposta non può essere quella interessata di chi lancia strali per diminuire i potenziali avversari culturali. La risposta è nel moltiplicare le occasioni, di continuare a sollecitare il pubblico. I festival sono una delle occasione più importanti per diversi motivi: per attrarre una fascia di «clienti» di solito marginali come anziani e giovani; per dare maggiore notorietà a spazi poco sfruttati; per creare una modalità differente di approccio ai luoghi di cultura. Il Salone del libro di Torino, il festivalfilosofia di Modena, quello della Scienza di Genova, o dell’Economia di Trento, così come Mantova o la «Milanesiana», solo per citarne un campione, con gli oltre 900mila utenti del 2010 non fanno che rafforzare la riflessione precedente: diminuiscono i prodotti e le esperienze che isolano, e aumenta l’interesse per quelle che mettono in relazione esperienze culturali diverse. In un periodo di retorica dell’individualismo si scopre che il legame conta di più della merce, si riconosce cioè un’importanza addizionale a quei beni e a quelle pratiche che detengono un valore nel potenziamento dei legami tra individui, che offrono all’individuo un’occasione di condivisione culturale.

Il festival ha individuato le richieste del grande pubblico, interessato a partecipare e a farsi coinvolgere, a soddisfare quel bisogno di socialità che si sostanzia nella logica dell’emozione condivisa per prossimità e riconoscimento e non per mimetismo. Ben venga quindi il festival, da dovunque arrivi.
*Presidente Fondazione

«I Pomeriggi Musicali»

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