Cultura e Spettacoli

I mostri al cinema: quando l'uomo ha paura del diverso

Un nuovo titolo si aggiunge a una collana editoriale di Gremese dedicata ai grandi temi che hanno dato vita a generi e filoni particolarmente importanti per il grande schermo

«La bestia guardò in volto la bella, e la bella fermò la bestia, che da quel momento fu come morta!» Carl Denham, regista ambizioso ma sfortunato, raccontò così il lieto fine di un incubo che era diventato una fiaba. Ma era un film nel film. Carl Denham era un personaggio, non un cineasta vero. E King Kong non era riuscito a mangiare la splendida Ann che le era stata offerta in sacrificio, proprio dal regista, nel tentativo di salvare la vita a se stesso e alla troupe, finita per disgrazia in quello scoglio maledetto. Dove Kong era il king. Il cartoon della Disney, insomma, non c'entra. Benché anche lì ci fosse un mostro. Un altro dei tanti che affollano la celluloide. Nati da progenitori comuni. Ed evolutisi fino ad oggi conferendo una cornice ai quei primi prototipi di orripilanti creature che si muovevano in un mondo all'apparenza deserto.
Fin dagli albori, il cinema aveva puntato secco su quei fotogrammi che colpivano. Su quelle creature che impressionavano. Animali o uomini che fossero. E per questo mostri. E ai «Mostri» (Gremese, pp. 127, euro 18,50) è dedicato l'ultimo volume in ordine di tempo nella collana «Al cinema» che la casa editrice romana dedica a creature che sono state protagoniste di avventure indimenticabili. E hanno dato vita a un genere, spesso a contatto con l'horror, benché non esattamente sovrapponibile ad esso.
Dracula e Frankenstein. «Il gabinetto del dottor Caligiuri». Godzilla e King Kong. «Il pianeta delle scimmie». Poi il filone dei mostri impalpabili, quelli che vivono nella fantasia perché appartengono al futuro. A un modo di immaginare il domani. E così gli ultracorpi di Don Siegel. Fino al mitico computer Hal, immortalato da Kubrick in «2001 odissea nello spazio», un cervellone dal cuore umano. Che teme di morire. E impazzisce. Era il '68. Impossibile prevedere cosa sarebbe accaduto nel tempo. Impossibile prevedere che, con i computer, l'uomo avrebbe dovuto fare i conti. E non per poco. Storie di «Intelligenza artificiale». Storia di un domani all'apparenza improponibile.
Sono mille i modi di fare e costruire mostri. Dai cartoon ai personaggi animati con effetti speciali («E.T.»). Da uomini e donne veri («Psycho») all'uso di animali («Gli uccelli»). Anche tecnicamente le strade sono diverse. Diversissime. Creature rese vive fotogramma per fotogramma, oppure animatroniche, cioè animate con un complesso sistema meccanico. Talvolta hanno un sesso identificativo, talaltra sono immaginarie. Talvolta hanno sentimenti, talaltra sono la rappresentazione del male. Spesso, negli anni, ne sono stati fatti rifacimenti continui. E a cambiare è proprio la cornice e il contesto geografico o sociale in cui questi mostri si muovono. All'inizio il cinema puntava sullo stupore destato da quelle creature sorprendenti, orride quando meravigliose. Cioè capaci di destare meraviglia. Era lo studio dell'altro. L'altro da sé. Qualcosa che ignoriamo e ci fa paura. Qualcosa che non conosciamo e che temiamo. Diffidenza. Contrasto. Guerra. Qualcosa di talmente altro da noi che lo spingiamo su pianeti irraggiungibili. Su forme di cosmo impensabili. E, col trascorrere del tempo, quei mostri si sono integrati. Tanto che non ne avvertiamo più la differenza. Temiamo e li temiamo perché, presto o tardi, arriva il momento dello scontro. La falsariga dei vecchi film western. Quelli che oggi non si producono più. I buoni contro i cattivi. La società civile contro i selvaggi. La frontiera. Oggi che il Far West non fa più paura...

c'è il mostro.

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