Roma

I panorami di Belmonte Castello

Renato Mastronardi

Hanno scavato ed arato un’intera montagna ma, a parte iscrizioni latine, testimonianze più antiche di Belmonte Castello, in provincia di Frosinone, non ne hanno travate. Quindi, nonostante la delusione comprensibile degli archeologi locali sulle origini storiche del paese, che all’inizio, prima di fregiarsi dell’araldico Castello, si chiamava soltanto Bellus Mons, resta fissa una sola data: quella del 990 quando si trovò appodiato al Ducato di Capua prima di passare ai d’Aquino, signori di Atina. Né la transumanza da un signore all’altro si fermò perché il castello nel 1350, passò ai Cantelmo e, 1464, ai Carafa. Quindi, proseguendo con gli anni e con le alterne vicende della storia, sopraggiunsero i Borgia, con papa Alessandro VI, quindi i Navarra, i Cardona, i Laudato ed, infine, i Galbio. Soltanto nel ’700 passò al dominio regio, quello napoletano, e nel 1806, con le leggi sulla feudalità venne definitivamente sollevato dalla servitù tipica dei gravami medioevali come i telonei, i banni ed altri artifizi fiscali tipici, appunto, del vassallaggio. Nonostante che Belmonte fosse un centro piccolo sì, ma abbastanza fortificato come, ancora oggi dimostra la robusta cinta muraria con le sue tre porte principali. Si è trattato comunque di un sistema difensivo che è valso a poco o nulla a salvaguardare dalla furia incredibile della Seconda guerra mondiale quando, il borgo fu circondato con campi minati lungo la strada Sferracavallo che porta ad Atina, Alvito e Sora. Infatti, Belmonte, fu semidistrutto e le perdite tra la popolazione civile furono altissime.
Da vedere. Dopo la Liberazione anche Belmonte Castello iniziò il periodo della ricostruzione, della rinascita anche demografica, e la popolazione partecipò attivamente al lungo ciclo della ripresa economica e sociale perché seppe approfittare delle notevoli opportunità che le vennero offerte dall’incipiente processo di industrializzazione cui beneficiò tutto il cassianate. Tutto ciò non tolse spazio alle emergenze che poteva offrire il turismo locale. Infatti, il territorio belmontese continua a proporre ampi panorami sulla Valle del Comino. Qui sono presenti e frequentati numerosi fenomeni carsici che, tra l’altro, hanno dato vita a due straordinarie voragini: la prima in località Capo di Valle, con un cratere profondo 130 metri e la seconda in contrada Vacchereccia, dove la dolina raggiunge i 110 metri di profondità. Esistono anche memorie di antiche chiese e santuari: restano i ruderi della Chiesa medioevale di san Benedetto da Chio, cenobio benedettino legato a Montecassino. Ma, la più antica Chiesa del paese è quella dedicata a San Nicola, un edificio molto semplice, rurale e plebano, sorto nel secolo XII e affrescato con pitture attribuite al XIV secolo.
Da mangiare e da bere. La gastronomia, qui più che altrove, è sincera e costituita da sapori già noti all’antica Roma, oltre, naturalmente, al fatto di essere casareccia. Il pane, per qualità e sapore figura tra i migliori della regione; le pizze vengono cotte in forni a legna; la pasticceria è in genere secca e rigorosamente casalinga; la pasta (tagliatelle, tagliolini, maltagliati) è fresca e lavorata a mano come del resto in tutta la Valle del Cimino; le carni sono ovine, caprine e da pollame. Il capretto da latte e l'agnello soprattutto nella versione «castrato», sono pietanze di assoluta squisitezza. I vini, in questa parte della Ciociaria, sono quelli delle vigne di Atina: Cabernet e Merlot.

Da primato enologico.

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