I referendum, Kant e i trucchetti degli «insipidi ciarloni»

Caro Granzotto, ecco cosa ha recentemente rammentato il prof. Giulio Passatore, fisico teorico genovese e mio inconsapevole maestro (inconsapevole perché, pur avendolo conosciuto personalmente solo tre anni fa, è sui suoi libri che cominciai a studiare, quasi 40 anni fa, la quantomeccanica). Scrisse Kant in una prefazione ai Prolegomeni ad ogni futura metafisica: «Quando scienza e intelligenza non bastano più, far appello al senso comune è una sottile invenzione dei nostri tempi, in forza della quale il più insipido ciarlone può affrontare impavido il cervello più fine e può tenergli fronte. Ma finché rimarrà ancora un piccolo resto di intelligenza ci si guarderà bene di ricorrere a questo mezzo. E, bene esaminato, esso non è che un ricorso al giudizio della moltitudine, un consenso di cui il filosofo arrossisce, mentre il bello spirito popolare ne trionfa e ne mena vanto». Ma la storia è antica, continua Passatore. Così scriveva Giordano Bruno duecento anni prima nella dedica di una sua opera a Rodolfo di Asburgo: «È immorale adottare un giudizio per ossequio ad altri, mercenario, servile, e contrario alla dignità della libertà umana votarsi a qualcuno e sottomettersi, stupidissimo credere per consuetudine, irrazionale consentire con la maggioranza, come se il numero dei saggi potesse superare o raggiungere - anzi semplicemente avvicinare - l’infinito numero degli stolti». Prima di chiederle un perspicace commento, mi consenta di chiudere con quest’aforisma tratto da Sguardi sul mondo attuale di Paul Valéry: «La politica fu in primo luogo l’arte di impedire alla gente di immischiarsi nelle cose che la riguardano. In un’epoca successiva diventò l’arte di costringerla a decidere su ciò che non capisce». Parole, tutte, quanto mai attuali, non trova?

Invito i lettori a leggere e rileggere la sua lettera, caro professore. E a scolpire nella memoria le considerazioni di Kant, di Giordano Bruno e la rassegnata sentenza di Paul Valéry. Sopra tutto la prima, in considerazione del fatto che i «sinceri democratici», a detta di uno di loro - ed anzi di un maestro, di un guru di loro -, Umberto Eco, trascorrono le serate leggendo proprio Immanuel Kant. Fosse vero, è chiaro come il sole che, da «insipidi ciarloni» quali sono, non ci capiscono niente. Resta il fatto, spaventosamente autoritario, di sottoporre a un giudizio di pelle o alle ùbbie ideologiche o alla simpatia e antipatia per un politico e comunque ai circiterismi - al pressappochismo, va’ - nazional popolari questioni che investono scienza, tecnica e finanza pubblica alla moda dei quiz: mettete una crocetta sulla risposta che credete giusta. Si aggiunga la malafede delle parole d’ordine («Ci vogliono rubare l’acqua», «Il disastro ecologico-umanitario di Fukushima»), che non fa che confondere le già poco chiare e malinformate idee. Insomma, un conto è rivolgersi al popolo sovrano perché si esprima sull’introduzione del divorzio, del quale istintivamente si possono valutare costi e benefici, vantaggi e svantaggi a titolo personale e universale, un conto e chiedergli di esprimersi sul nucleare, dove fa aggio non la conoscenza dei problemi legati al fabbisogno energetico, di quelli di natura scientifica, di quelli riferiti alle fonti alternative, ma la paura di eventuali olocausti. E cioè dove si impone prepotentemente il decantato principio di precauzione. Che se mai fosse stato sollevato da sempre, l’umanità sarebbe ancora lì - e dunque noi ancora qui - a interrogarsi sulla convenienza di padroneggiare il fuoco o di introdurre nell’uso comune la ruota. L’antidoto a questa follia è uno solo: non cadere in tentazione in queste ultime ore.

Astensione.
Paolo Granzotto

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