Controcultura

I residui (tossici) del '900 inquinano la nostra vita

Stenio SolinasAll'improvviso ci si è ristretto il mondo e la globalizzazione ha assunto una luce sinistra. Avevamo salutato la caduta delle frontiere e la libera circolazione di uomini e merci, ma ciò a cui stiamo assistendo sa più di esodo biblico che di felice cosmopolitismo e la finanza ormai sta al mondo del lavoro come uno squalo in un acquario per pesci rossi. La caduta delle ideologie, la fine dei «blocchi» ci avevano fatto credere che il Novecento fosse arrivato a fine corsa e di poterlo quindi archiviare come reperto storico. Non avevamo tenuto conto dei paretiani «residui passivi»: Stati artificiali nati grazie a mappe artificiosamente ritagliate, zone di influenza di colpo senza più Padri putativi, vuoti politici che nessuno si era preparato a dovere riempire... È un'onda lunga che incessantemente si abbatte sulla spiaggia delle antiche certezze, delle consolidate sicurezze: nulla sarà più come prima, però non sappiamo quale sarà il dopo. La paura nasce da qui, una navigazione a vista per un transatlantico chiamato Occidente che si era abituato al pilota automatico e alla superiorità della sua tecnica. Ora che i motori hanno cominciato a perdere colpi e il timone non sembra più rispondere, noi passeggeri non sappiamo bene cosa fare. Non siamo più abituati a pensare il Destino. Negli anni Trenta del secolo scorso, Georges Bernanos scrisse un pamphlet dentro cui c'era tutto, l'industrializzazione e il termitaio, l'abiura dei valori e la desacralizzazione del mondo, lo strapotere del denaro e la democrazia senza più demos, la demagogia travestita da nobili principî e la lebbra degli egoismi individuali una volta sganciati da ogni vincolo comunitario. Si chiamava La grande paura dei benpensanti.

È quella che adesso ci attanaglia.

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