I rimproveri al silenzio dei cristiani

Vittorio Mathieu

Al cristianesimo si muovono due rimproveri opposti. Il primo è tipico di Nietzsche: il cristianesimo rende gli uomini imbelli, li sottomette ai voleri altrui. È un’etica di schiavi. Il rimprovero opposto è che il cristianesimo, in realtà, è prepotente e oppressivo. Cerca d’imporre a tutti la propria concezione della vita, anche con la forza. L’aspetto mansueto sarebbe di facciata: per mascherare aspirazioni inquisitorie e totalitarie. Nel secolo scorso un movimento interno alla stessa Chiesa - detto dagli avversari «dei nuovi preti» - si sforzò di rimediare congiuntamente a questi supposti inconvenienti accogliendo le critiche. La «teologia della liberazione» mirava, come dice il suo nome, alla libertà; ma non rifuggiva per questo da azioni anche violente, alla Che Guevara: il fine giustifica i mezzi. Il suo principale difetto (dal punto di vista teologico) era ridurre la liberazione a una sperata azione sociale, che avrebbe dovuto portare il paradiso in terra. Oggi questo atteggiamento è sconfessato da teologi più accreditati. E anche sul piano dell’azione vi sono movimenti che si oppongono dichiaratamente alla pseudoteologia della liberazione: ad esempio i «legionari di Cristo», nome che non lascia dubbi.
Se guardiamo ai testi sacri, troviamo passi celebri che smentiscono entrambi gli opposti rimproveri. «Beati i mansueti» sembra dar ragione a Nietzsche. Ma il Cristo dei Vangeli, oltre a scacciare in malo modo i mercanti dal tempio, dichiara di non esser venuto a portare la pace, ma la spada. Se poi guardiamo alla prassi, equilibrio e buon senso appaiono inevitabili. Porgere l’altra guancia è il rimedio migliore, posto che il violento desista, perché, se continuasse, dovrei offrirgli di nuovo la prima guancia, e il massaggio si protrarrebbe all’infinito. Inoltre nessun testo prescrive, se qualcuno mi violenta la sorella, di offrirgli l’altra sorella.
Queste considerazioni valgono, in sede storica, per valutare, ad esempio, le crociate. Nessun dubbio che per molti liberare il Sepolcro di Cristo fosse un pretesto e che il comportamento dei crociati fosse a volte tutt’altro che umanitario. Ma ciò non significa che qualsiasi terra conquistata dall’Islam debba appartenergli per sempre e non debba mai più essere riconquistata (come l’Islam sostiene), meno che mai con le armi.
In pratica la pretesa di ridurre i cristiani al silenzio mediante i due argomenti opposti è molto sbrigativa. Praticare il perdono non equivale a sottostare alla violenza. Il perdono è un dovere solo di fronte al pentimento e alla penitenza: altrimenti rimane fermo il principio romano: vim vi repellere (respingere la violenza con la forza). Chi, presumendosi «politicamente corretto», prescrive ai cristiani la passività non vuole la bontà, ma il «buonismo». Lo confessi o no, il suo scopo è render più facile quel tipo di violenza che piace a lui. Troppo comodo. Sotto constatazioni ovvie si spacciano allora principi insostenibili. Ad esempio: «la repressione non basta; meglio prevenire che reprimere». Ma ciò non significa che, quando occorre, la repressione non serva. Oppure: il malato va curato, non punito. Ma non ogni malvagio è soltanto un malato; e la cura può consistere anche in una punizione. La tendenza a legare le mani ai cristiani mira soltanto a rendere più facili azioni a cui si spera che arrida il successo, anche quando non è affatto detto che il loro successo sarebbe un bene per tutti. Nel secolo scorso i cristiani si sono spesso lasciati paralizzare da sofismi del genere: molto più che nei secoli precedenti. Ma ora sembra che ci ripensino.

E le reazioni spesso furibonde che ciò suscita nei loro nemici conferma che questo ripensamento era necessario.

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