Medicina

Impianti sofisticati per pazienti con massa ossea quasi inesistente

Insufficienza d’osso mandibolare o mascellare: è questa la causa che rende impossibile la riabilitazione con impianti fissi al 30-40 per cento delle persone che vorrebbero ricorrervi: «Gli impianti utilizzati dalle tecniche implantologiche più diffuse e standardizzate (i cosiddetti impianti sommersi) hanno un ingombro elevato», spiega il dottor Silvano Tramonte, odontoiatra, direttore sanitario dei Centri Implantologici Tramonte di Stezzano (Bg) e Milano (www.tramonte.com). «Se l’osso della mascella o della mandibola si presenta troppo basso o troppo stretto la loro applicazione non è possibile». La soluzione che in genere si consiglia in questi casi è l’incremento del tessuto osseo attraverso un trapianto autologo: si prelevano alcuni blocchetti ossei da parti del corpo del paziente stesso (di solito dall’anca o dalla teca cranica) e li si innesta poi nell’area da ispessire. Per quanto molto diffusa, questa metodica presenta, tuttavia, dei limiti: «A parte i tempi estremamente lunghi della procedura, va messa in conto una certa percentuale di insuccesso, specialmente quando l’osso da ispessire è quello mandibolare, più soggetto all’insorgere di complicanze», sottolinea il dottor Tramonte. «La situazione in cui si viene a trovare il paziente è quindi molto frustrante, dato che si ritrova al punto di partenza nonostante i sacrifici sopportati». Oggi, l’implantologia più avanzata propone un’ulteriore alternativa, appositamente studiata per questa problematica: «Grazie ad una tecnica di ultima generazione, il paziente può ricevere l’inserzione immediata di impianti specifici a carico immediato, senza che sia necessario il ricorso al prelievo osseo», spiega l’esperto.
Come è possibile? «Tramite viti dall’ingombro molto ridotto e facilmente malleabili, vengono aggirate quelle formazioni anatomiche che presentano aspetti critici, effettuando inserzioni anche molto angolate e utilizzando al meglio i punti di ancoraggio pure in mandibole fortemente atrofiche», spiega l’implantologo. «Non solo. Qualora la consistenza ossea sia particolarmente precaria, si può ricorrere ad un’ulteriore misura di sicurezza, con una metodica chiamata saldatura endorale: sfruttando i monconi che fuoriescono dall’osso, vengono effettuate delle saldature che collegano tra loro i diversi impianti, in modo da costituire un blocco unico, invisibile all’esterno, che conferisce all’intero sistema una maggiore stabilità».

La saldatura avviene all’interno del cavo orale, con apparecchiature precise e minimamente invasive per i tessuti circostanti: la corrente di fusione nelle parti da unire, infatti, circola per un tempo molto ridotto (3-4 millesimi di secondo) e a temperature estremamente basse.

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