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Insultato per il muro anti-tsunami Ora l’ex sindaco (morto) è un eroe

RomaC’è una tomba, nel cimitero di Fudai, che da due mesi a questa parte è una tappa obbligata per i 3078 abitanti di questo villaggio di pescatori, sulla costa Nord Est del Giappone. Fiori e biglietti con preghiere e ringraziamenti sono tutti per Kotaku Wamura, primo cittadino del paese per otto lustri, scomparso 14 anni fa. Non è certo la sua lunga carriera di amministratore di Fudai, cominciata nel dopoguerra e conclusa dieci mandati più tardi, nel 1987, ad averlo reso così popolare tra i suoi concittadini, anche se per governare 40 anni qualche merito in vita gli sarà stato riconosciuto. La devozione, postuma, è un omaggio alla sua lungimiranza. Quella che ha permesso alla sua ultima dimora di restare integra e divenire oggi meta di pellegrinaggio, e al villaggio di essere ancora in piedi, dopo il terrificante tsunami dell’11 marzo scorso. Molti villagi e città costiere nella zona sono ora cumuli di macerie e fango. Fudai ha perso il porto, quando l’onda si è schiantata sulla piccola baia naturale chiusa tra le montagne che è lo sbocco in mare del villaggio. Ma nemmeno una casa è stata danneggiata.
Tutto grazie a un’opera che, in vita, gli era invece costata critiche e accuse di sperpero di denaro pubblico da parte degli abitanti della cittadina, convinti che il muro di protezione e la chiusa mobile che Wamura volle a tutti i costi costruire a protezione di Fudai fosse inutilmente grande (alta 15 metri e mezzo e larga 205) e soprattutto troppo costosa (oltre tre miliardi e mezzo di yen, somma equivalente a 21 milioni di euro odierni). Insomma, una specie di ecomostro. Il tempo, stavolta, ha fatto giustizia. Gli altri sbagliavano, Wamura aveva ragione.
Il piccolo Kotaku era cresciuto con i racconti dello tsunami che aveva raso al suolo Fudai nel 1896, 13 anni prima della sua nascita. E il 2 marzo del 1933, Wamura vide i fantasmi diventare reali quando le onde immense scatenate da un terremoto travolsero la costa nordorientale del Giappone. Lui scampò alla tragedia. Ma non dimenticò mai le centinaia di cadaveri recuperati a fatica dal fango che aveva sommerso le case di Fudai, che contò 439 vittime nei due disastri.
Divenuto sindaco, proteggere il paese diventò la sua priorità. Nel 1967 finirono i lavori della prima muraglia. Wamura però non era soddisfatto. E avviò il cantiere della chiusa, pretendendo che fosse alta quanto il muro di protezione. Quella specie di serranda in cemento e acciaio però non convinceva nessuno, e se l’insistenza del primo cittadino fece presa sul consiglio comunale, gli abitanti di Fudai nel corso dei lavori, per tutti gli anni 70, non lesinarono invece critiche. Persino uno dei supervisori dell’opera, Hiroshi Fukawatari, ora sindaco del villaggio, ha confessato all’Associated Press di essersi a lungo domandato «se avessimo bisogno di una cosa così grande», visto che nessuna barriera, in Giappone, era tanto alta. Fukawatari, come tutti quelli che per anni hanno riso di un progetto considerato orrendo e fuori scala, ha avuto la sua risposta due mesi fa. Poco più a Sud la città di Taro, protetta da una barriera di due chilometri alta dieci metri, è stata cancellata dalle onde alte venti metri. Che a Fudai, invece, si sono dovute fermare. Persino la scuola elementare, praticamente addossata al muro, si è appena bagnata. Chissà, forse in un posto diverso dal compassato Giappone l’«ecomostro» sarebbe stato abbattuto, e Wamura avrebbe passato guai più seri dei blandi sfottò dei suoi concittadini. Che adesso sarebbero morti, o nella migliore delle ipotesi non avrebbero più una casa.
Di certo, quando a 88 anni è passato a miglior vita, l’ex sindaco non pensava di diventare un eroe per la sua comunità, che continuava a considerare quel muro di cemento come un ostacolo al panorama, il sogno folle e un po’ megalomane di un vecchio, spaventato da una tragedia a cui aveva assistito quasi un secolo prima. L’onda dell’11 marzo ha cambiato tante cose, e tra queste anche la storia del villaggio di Fudai: il suo sindaco visionario torna a vivere nelle preghiere di chi gli deve la vita.

E la sua muraglia è un monumento globale alla prevenzione.

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