Caso Sallusti

Giudici e avvocati in rivolta attaccano il procuratore: "Niente privilegi a Sallusti"

La decisione di Bruti Liberati di chiedere gli arresti domiciliari per il direttore scatena il putiferio. I Pm minacciano la ritorsione: far liberare in massa i detenuti condannati

Giudici e avvocati in rivolta attaccano il procuratore: "Niente privilegi a Sallusti"

Milano - Una Procura spaccata, scossa da polemiche interne senza precedenti, con il suo capo Edmondo Bruti Liberati in minoranza se non addirittura isolato. I magistrati dell'ufficio esecuzione, in rotta di collisione con Bruti, che minacciano - se dovesse venir accolta la richiesta di arresti domiciliari per Alessandro Sallusti - di sommergere il tribunale di Sorveglianza con centinaia di pratiche di detenuti qualunque, chiedendo anche per loro lo stesso trattamento del direttore del Giornale. E gli avvocati penalisti in rivolta, al punto di chiedere con un comunicato se non sia il caso di rimuovere dalle aule d'udienza la scritta che vi campeggia da qualche anno: «La legge è uguale per tutti».
Se la via d'uscita per il caso Sallusti escogitata dai vertici della Procura milanese, con la richiesta d'ufficio di arresti domiciliari, doveva servire a rasserenare il clima intorno al caso del direttore del Giornale, bisogna ammettere che l'obiettivo è stato vistosamente mancato, e l'intero esito della vicenda torna in discussione. Il provvedimento di Bruti Liberati viene accusato esplicitamente, da parte dei pm, di riservare a Sallusti un trattamento diverso da quello quotidianamente inflitto a condannati qualunque, che si vedono spediti a espiare la pena senza tanti complimenti. E - fatto senza precedenti - un gruppo di magistrati tra cui il procuratore aggiunto Nunzia Gatto, capo del pool esecuzione, e un «grande vecchio» come Ferdinando Pomarici, fanno recapitare a Bruti una missiva formale, registrandola al «protocollo riservato» dell'ufficio, in cui mettono nero su bianco la loro dissociazione dalla decisione del capo.
La disposizione di Guido Brambilla, giudice di Sorveglianza competente per la lettera S, non arriverà prima della prossima settimana. Ma saranno giorni tempestosi, a Palazzo di giustizia. Perché quello che poteva sembrare un passaggio burocratico o poco più, ovvero la ratifica della decisione presa dal procuratore Bruti Liberati, si sta trasformando nella nuova battaglia di chi, dentro la Procura, considera un privilegio intollerabile quello riservato a Sallusti. È l'ala intransigente, quella che non ha rinunciato a spedire in cella Sallusti «come qualunque altro cittadino», e come egli stesso ha ripetutamente chiesto. E se Brambilla dovesse rigettare l'istanza, Sallusti verrebbe subito chiuso in cella.
Il quartier generale dei «duri» è in questo momento l'ufficio esecuzione della Procura, quello che si occupa abitualmente di dare attuazione alle condanne, in questa occasione di fatto esautorato da Bruti Liberati che ha deciso e firmato da solo la richiesta di domiciliari. Il pool esecuzione ha a disposizione un'arma psicologica di non poco conto: se Brambilla dichiarerà ammissibile l'istanza di Bruti Liberati, allora i pm potrebbero sommergerlo di decine e centinaia di altri fascicoli. Sono i fascicoli di tutti i condannati che si sono visti chiudere in carcere, una volta scaduti i termini della sospensione della pena. Se può andare ai domiciliari Sallusti, dicono all'ufficio esecuzione, allora ci possono andare anche questi.
Lo scontro si gioca intorno a valutazioni tecniche e analisi giuridiche ma dietro c'è la vera accusa che parte dell'ufficio fa a Bruti: quella di essere un magistrato troppo politico, attento a ciò che accade intorno, e non unicamente ad una asettica applicazione delle norme. La Gatto, Pomarici e gli altri dissidenti sostengono che le norme sono talmente chiare da consentire una sola interpretazione: una pena non può essere sospesa due volte. Il decreto di Bruti, dunque, sarebbe figlio di un'inaccettabile interpretazione ad personam.
Benissimo, dicono invece gli avvocati milanesi della Camera penale: ammettiamo Sallusti ai domiciliari. Ma non può trattarsi di un privilegio. Il caso Sallusti, scrivono «è la dimostrazione di quale binario differenziato venga adottato talvolta, e sempre in favore di chi ha una posizione privilegiata, in evidente contrasto con quella scritta che dovrebbe essere lo scopo cui il governo della Giustizia deve tendere».
Gli avvocati danno atto al procuratore capo di avere sviluppato «un articolato e raffinato ragionamento» per arrivare a ritenere possibile la concessione dei domiciliari a Sallusti senza una sua richiesta, e addirittura contro la sua volontà. «Non importa - aggiungono - se per accedere a questa soluzione viene percorsa una strada davvero inconsueta». Ma se vale per uno, dicono gli avvocati, deve valere per tutti: «L'unico modo per togliere dal vestito utilizzato dalla Procura della Repubblica di Milano la polvere del sospetto di una decisione presa solo in considerazione del clamore della vicenda processuale, non può che individuarsi in una generalizzata applicazione di questa linea interpretativa.

Nei confronti di chi, esemplificando, per mero errore lascia decorrere il termine, di chi non può permettersi un avvocato che proponga una istanza».

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