Dimissioni Papa Benedetto XVI

Il confronto con Wojtyla

Wojtyla non ha nascosto la sua sofferenza. Ratzinger non ha voluto che diventasse un peso per la Chiesa

Il confronto con Wojtyla

Con il delizioso garbo che li contraddistingue, ora tanti autorevoli non perderanno la golosissima occasione per imbastire il santo derby, il padre di tutti i derby, l'Inter-Milan o il Roma-Lazio del soglio pontificio: se n'era andato meglio Wojtyla, no se ne va meglio Ratzinger.
Già l'hanno imbastito strada facendo, sul diverso modo dei due papi d'essere capi e persone, sin dall'inizio: il papà polacco che esordisce all'insegna della simpatia popolare, se sbaglio mi corigerete, il papà tedesco che si presenta con voce flebile, erre aristocratica e tratto raffinato, tutto fuorché simpatico. E poi via con il resto. Il pontefice di tutti contrapposto al pontefice delle élite. Il pontefice che parla franco e diretto, abbattendo tutte le barriere formali tra sé e il popolo, contrapposto al pontefice che parla difficile, freddo, distaccato, creando filtri e ostacoli tra sé e il suo sconfinato gregge. Proprio un modo decoroso di maneggiare con cura materia tanto fragile: ne abbiamo fatto un bel dualismo da ballatoio, del genere Beatles o Rolling Stones, Battisti o Baglioni, panettone o pandoro.

Eppure c'è da giurarci: continueremo imperterriti anche adesso, nel momento di un nuovo epilogo. Troppo ghiotta l'occasione di questo storico ritiro perché la nostra pulsione da televoto riesca a contenersi. Troppo diverse le due uscite, perché il nostro bipolarismo da reality possa resistere alla tentazione di srotolare gli striscioni e prendere posto in curva.
Wojtyla è rimasto al suo posto fino all'ultimo respiro, letteralmente. Wojtyla non ha nascosto la sua sofferenza: non se n'è vergognato, l'ha quasi esibita, come valore aggiunto di penosa fragilità e di immensa tenacia. Wojtyla era il Papa forte e atleta, capace di fare a braccio di ferro con il comunismo e di scalare le montagne della Valle d'Aosta. Ma nel momento della vecchiaia e della malattia non ha esitato a mostrarsi come il papa debolissimo, inebetito, agonizzante, le suore e il maggiordomo di fianco ad asciugargli la bocca con il bavaglino dei neonati.
Ratzinger no, tutto questo non lo concederà. Sente mancare le forze proprio nel momento in cui la Chiesa avrebbe bisogno di energie titaniche. Non ha intenzione d'essere Papa con la badante. Nessuna traccia di vanità e di falso orgoglio, in questo passo doloroso. Umili e altissime le sue parole di resa: «Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero. Chiedo perdono per tutti i miei difetti».

Meglio Wojtyla o meglio Ratzinger? Forse è umano provare più simpatia e compassione per l'uno o per l'altro, sentirsi più vicini e affini all'uno o all'altro. Ma per una volta si potrebbe pure fare lo sforzo di uscire da questa logica misera. Non si tratta sempre di preferire, appoggiare, scegliere. Prima ancora di rappresentare due modi di essere grandi guide, i due papi di ultima generazione rappresentano in fondo due modi di essere uomini. Anche tra di noi, nelle case e negli uffici, nelle fabbriche e nelle scuole, nei parlamenti e nei partiti, ci sono modi diversi di affrontare la vita. L'aggressivo e il timido, l'estroverso e lo schivo, l'indomito e il prudente. Non esiste un modo migliore di un altro. Nelle diverse forme espressive e nei diversi atteggiamenti, nei diversi caratteri e nelle diverse personalità, esiste però un modo solo di essere profondi, responsabili, dignitosi. Non importa la strada percorsa, importa solo la meta.
Guardandoli così, con sguardi meno ultrà e meno sguaiati, anche i due commiati di Wojtyla e di Ratzinger non appaiono più tanto lontani e tanto contrapposti. Ognuno di loro, fedele al proprio modo d'essere, ha dolorosamente cercato di fare la cosa giusta. Senza imporsi, per ragioni di marketing o per ragione di stato, di mostrarsi altro da se stesso.

In questi momenti difficili e angosciosi, possiamo certo assistere come si assiste ad uno spettacolo da cabaret, facendo caciara, assordando l'ambiente con i ragli delle littizzette o con la squallida macelleria di certi social-network. Ma non l'ha ordinato il medico.

Non sta scritto da nessuna parte che ormai, nella stagione delle libertà, si debba buttare tutto in pecoreccio. Abbiamo davanti due grandi uomini del nostro tempo, con il loro sfacelo fisico e le loro lacerazioni spirituali. Possiamo rispettarli. Semplicemente. Come si meritano.

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