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Il Papa tifoso difende il calcio "dono di Dio"

Papa Francesco dimostra di conoscere bene anche "l'altra" fede dell'uomo. Quella laica che porta milioni di persone a seguire la propria squadra con un'ortodossia ascetica

Il Papa tifoso difende il calcio "dono di Dio"

La Fede religiosa è la sua missione, la sua vita e il suo magistero. Ma quando - davanti ai calciatori di Italia e Argentina - Papa Francesco ricorda che «il calcio è un dono di Dio», dimostra di conoscere altrettanto bene anche l'«altra» fede dell'uomo. Quella fede laica che porta milioni di persone a seguire la propria squadra con un'ortodossia ascetica, a collezionare reliquie di figurine, autografi e magliette, a santificare i pomeriggi delle feste (e a volte anche i mercoledì sera di coppa) a quei colori che non cambieranno mai nei secoli dei secoli. Jorge Mario Bergoglio, tessera numero uno del San Lorenzo de Almagro, sotto la veste bianca ha un cuore rossoblù.

Ed è quel cuore di appassionato che gli fa comprendere la meraviglia del calcio al di là della retorica di chi si ferma all'apparenza. Da un Papa pauperista che va in metrò ci si poteva aspettare una condanna della deriva affarista dello sport. E in effetti un richiamo («il business ha reso violento il calcio») è arrivato. Ma Francesco non si è fermato alla banalità della predica e ha deluso i moralisti superficiali che nel calcio vedono solo «ventidue viziati in mutande che corrono dietro a un pallone», si indignano per le pastette e gli ingaggi milionari e tifano contro grandi club e nazionali perché ingranaggi del «sistema marcio». Amato perché uomo prima che Pontefice, il Papa tifoso è andato oltre, scavalcando la sovrastruttura del luogo comune, tornando alla purezza delle emozioni dello sport più bello del mondo; quello che ti fa fermare per strada a vedere ragazzini che tirano due calci e che ti fa abbracciare gli sconosciuti in gradinata.

Ecco, quell'attrazione, quel sentirsi devastati o in paradiso alla fine dei 90 minuti, sia che tu giochi sia che tu guardi, è identica all'oratorio e al Camp Nou, e poco conta se sogni il Pallone d'oro o solo pane e Nutella nell'intervallo. È questo il «dono» di cui parla il Papa. Certo, l'agnostico dirà che il calcio più che un dono è un mezzo - per giunta un po' sleale - che dio usa per costringere i tifosi a ricordarsi di lui. Ma quello è il «dio del pallone», locuzione abusata e ricorrente, un'entità cinica, malvagia e ingiusta che dirotta i rigori sul palo e che viene bestemmiata ad ogni eliminazione.

Bergoglio invece parla di un altro Dio. Quando ringrazia per il «dono», ricorda la solidarietà, il rispetto, lo spirito di squadra, la spinta a migliorarsi, il talento. Valori universali che trovano espressione in un campo verde o spelacchiato e che neppure il peggior scandalo potrà estirpare.

Perché la lezione del Papa ai detrattori del calcio è solo una: il diavolo avrà pure messo la coda sugli hooligans, sul monte-stipendi e perfino sugli arbitri, ma il pallone resta benedetto, perché lo porta sempre Lui.

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