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Svelano le truffe di Wall Street. Cacciati e con la vita distrutta

Hanno dato l'allarme, non li hanno ascoltati e il mondo ha bruciato miliardi. Sette anni dopo le "gole profonde" della finanza sono dei disoccupati emarginati

Le "gole profonde" di Wall Street
Le "gole profonde" di Wall Street

Da New York

Tre ruoli diversi, tre colossi della finanza, un unico epilogo: Oliver Budde, Eric Ben-Artzi e Peter Sivere sono ex operatori senza scrupoli di Wall Street che una volta redenti hanno fatto venire alla luce gli illeciti finanziari che hanno scatenato la peggiore crisi finanziaria della storia recente. Una crisi che dopo aver prosciugato Wall Street si è riversata con enorme violenza sull'Europa.

Tutti e tre hanno pagato un prezzo salato dopo aver rivelato le irregolarità delle banche per cui lavoravano, mentre al contrario della vittima sacrificale per eccellenza, ovvero Lehman Brothers, gli altri istituti godono di ottima salute. E le promesse del presidente americano Barack Obama di sanzionare gli squali di Wall Street e di dare un giro di vite alla regolamentazione del settore finanziario, sono ben lontane dall'essere adottate. È vero, c'è la legge Dodd-Frank del 2010, concepita per prevenire crisi come quella del 2008, ma in realtà a Wall Street le azioni spregiudicate di banchieri e dirigenti, premiati con bonus da capogiro per correre rischi con i soldi degli altri, sono rimaste per lo più impunite. E le persone che hanno deciso di andare contro il sistema sono rimaste inascoltate o, peggio, hanno perso il posto. Come Oliver Budde, Eric Ben-Artzi e Peter Sivere. A raccontare le loro storie è William D. Cohan sulle colonne del Financial Times. Vicende che mostrano quali rischi corrano le «gole profonde», i cosiddetti «whistleblowers», ma rivelano anche quanto poco gli istituti incaricati di vigilare sulle banche sembrino preoccuparsi di inchiodarle alle proprie responsabilità.

Oliver Budde, per esempio, è un ex consulente legale di Lehman Brothers, laureato alla Columbia University nel 1983, lo stesso anno del presidente Obama, e approdato al dipartimento legale di Lehman nel 1997. Uno dei suoi compiti era quello di preparare il «proxy», un documento annuale presentato pubblicamente presso la Securities and Exchange Commission che comprende, tra le altre informazioni, i dettagli della proprietà degli azionisti e la retribuzione del management. C'è voluto solo un mese per capire che qualcosa non andava con la contabilità per la concessione dei «restricted stock units», gli RSU, ovvero delle azioni priviligiate. Secondo Budde, attraverso una scappatoia venivano attribuiti al presidente e amministratore delegato, Dick Fuld, enormi quantità di RSU non pienamente dichiarate, come invece prevede la legge. Budde decise di dimettersi e di rivelare le irregolarità, ma quando il 14 aprile 2008 inviò una email alla divisione esecutiva della Sec, spiegando che Lehman aveva ingannato azionisti e dipendenti omettendo di comunicare correttamente l'entità dei premi RSU che Fuld e altri dirigenti percepivano, la risposta fu il silenzio. Nessuno ha mai voluto conoscere le sue verità. Oggi l'avvocato passa il tempo scrivendo un libro su ciò a cui ha assistito mentre lavorava per la banca e sui suoi tentativi - falliti - di raccontare le malefatte.

Eric Ben-Artzi invece è, invece, un ex analista di Deutsche Bank, licenziato e tutt'ora in causa per essere reintegrato. La sua saga inizia nel 2010, quando viene assunto dalla banca, a New York. Ben racconta al Ft che durante la crisi finanziaria Deutsche Bank ha sovrastimato il valore di oltre 130 miliardi di dollari di obbligazioni di debito garantite (CDO) sul suo bilancio, per la somma di 12 miliardi di dollari. Così, lui ha contattato il servizio della banca che dovrebbe consentire ai dipendenti di segnalare irregolarità senza ritorsioni, e anche la Sec, denunciando quanto stava accadendo. L'indagine è ancora in corso, ma nel frattempo Ben ha perso il lavoro. Nonostante tutto, è convinto di «aver fatto la cosa giusta».
Infine Peter Sivere, ex responsabile per la conformità di JpMorgan Chase. Ha denunciato presunte irregolarità del colosso di Wall Street nel 2003, ed è stato prima demansionato e poi licenziato. Ha dovuto prosciugare il suo conto corrente, vendere la casa di New York, e lottare per pagare le bollette, ma non ha rimpianti. Tuttavia, si chiede ancora come mai non abbia mai avuto il sostegno di JpMorgan, e cita spesso con una certa ironia una frase di Jamie Dimon, amministratore delegato della banca.

Nel 2009, durante un intervento alla Harvard Business School, Dimon disse ai futuri guru della finanza: «Fate la cosa giusta, non la più vantaggiosa».

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