Controcultura

Il kolossal conquista tutti da Mattarella a Marracash

Molti politici in sala, ben pochi gli intellettuali. Regia tecnologica e hollywoodiana

Il kolossal conquista tutti da Mattarella a Marracash

Tradizione, tecnologia ipermoderma e voglia di kolossal. E Tosca la diva cantante, interpretata da una cantante superstar, e l'opera, dall'impianto antico e la diffusione digitale - conquista pubblico, teatro e città. Alle 22, E lucevan le stelle, dopo 15 minuti di applausi, trionfo, cala l'ultimo sipario della Prima. Standing ovation, inchini sul palco e selfie nel foyer. E l'hashtag #primascala tra i top trend di Twitter. «La Tosca non è per tutti» è solo una battuta del Nemico di 007 in Quantum of Solace.

Giovani, senior, autorità, milf, vip, imprenditori, intenditori, presenzialisti, loggionisti persino e politicians. La Tosca che ha aperto la stagione della Scala, è stra-piaciuta, anche se qualche critico fa il suo mestiere e critica. Per il grande pubblico è sontuosa, lirica, coinvolgente. Sold out.

Fuori, 600 uomini messi in campo dalla Questura per blindare la zona-teatro: Cub, antagonisti e contestatori che fanno la loro, di parte, ma tenuti lontano quest'anno. Dentro, lo spettacolo corre senza tregua. Tre atti, 120 minuti di opera, due intervalli concitatissimi di mezz'ora (pochissimo per vedere chi c'è e far vedere che ci si è). La storia, pur se ambientata nel 1800, invece, è senza tempo: la cantante Floria Tosca, amante del pittore repubblicano Mario Cavaradossi (Recondita armonia) è corteggiata dal capo della polizia pontificia Scarpia, perfido e torturatore, che imprigiona il pittore e ricatta Tosca (Vissi d'arte, vissi d'amore, un minuto di applausi): se la donna non si concederà a lui, Cavaradossi sarà fucilato. Ma lei fiera, furente, virago fattasi dare il salvacondotto da Scarpia, lo uccide a coltellate. Ben tre. Poi, il gran finale, popolare e immortale: il pittore, che secondo i patti con Scarpia avrebbe dovuto subire una finta fucilazione, viene invece davvero passato per le armi sugli spalti di Castel Sant'Angelo; e così Tosca - ma qui è quasi un'ascesa: assurta e assolta - si getta dal castello.

Per la Tosca è davvero una prima, alla Scala. Ma per tutti gli altri è un rendez-vous. La russa Anna Netrebko - riconosciuta come il soprano di riferimento dei nostri anni - è ormai di casa al Piermarini: è alla sua quarta inaugurazione scaligera, questa volta come Tosca. Luca Salsi - baritono tra i più affermati a livello internazionale che dà volto e voce al barone Scarpia, è al suo secondo 7 dicembre. Mentre il tenore Francesco Meli è alla sua terza Prima, stavolta nel ruolo di Cavaradossi. Per tacere del milanese e scaligero Riccardo Chailly.

E in fondo, è già un habitué - al secondo anno consecutivo - il presidente della Repubblica Mattarella, qui con la figlia Laura, applauditissimo, ben oltre i tempi istituzionali, prima dell'Inno. Con lui nel palco Reale il presidente del Senato, Casellati, il sindaco di Milano Sala, il presidente della Regione Fontana, e il padrone di casa, Alexander Pereira alla sua ultima Prima: dal 16 dicembre trasloca al Maggio Fiorentino, mentre il suo successore già designato, Dominique Meyer è qui come ospite. E poi il resto del parterre: tre ministri (Franceschini, Lamorgese, Spadafora), in quota governo anche Maria Elena Boschi (bellissima, elegantissima), in quota rosa l'attrice Vittoria Puccini (nessuna parentela con il compositore della Tosca) e in quota pop&rap Elodie e Marracash... Per tacere di vecchi politici (Monti, Alfano, Passera...) e vecchie glorie (Patti Smith). E c'è anche Liliana Segre (una Tosca antifascista?). Quelli che mancano, invece, sono gli intellettuali. Dove sono finiti gli scrittori, i filosofi, gli engagés? È davvero cambiata un'epoca.

L'epoca è il 1800. Ma la Storia i napoleonici, lo stato Pontificio, la guerra, i rivoluzionari alla fine conta poco. Si canta l'intreccio eterno, universale di gelosia, amore, vendetta e morte. Una storia di bigottismo e sensualità, sopraffazione e ribellione, che impressionò l'Italia umbertina. Tosca che è solo un dramma d'amore - centra nulla con l'ondata neo-femminista che ha travolto il mondo dello spettacolo. Lo stesso regista ci tiene a separare cronaca e arte. Tosca è una donna coraggiosa, forte, capace di uccidere per amore e commettere suicidio per disperazione. Ma trasformare la furia omicida di una donna ricattata in un'eroina al tempo del #MeToo, ce ne vuole.

Per il resto i cantanti, a detta di tutti (certo, i puristi nicchiano) hanno toccato varie sfumature della perfezione. Chailly, neanche dirlo: scarno e essenziale. I costumi invece sono stati vivacemente punzecchiati. Ma è il regista Davide Livermore il vero protagonista. Nell'intervallo lancia un personale j'accuse contro i tagli che in Italia affliggono da venticinque anni la Cultura, «che è memoria storica e identità». Mentre in scena mette in moto una macchina impressionante (raramente si vedono tali e tanti movimenti). Grazie allo Studio Giò Forma e i video di D-wok, l'effetto - molto cinematografico, con dissolvenze, campi e controcampi - è impeccabile. E poi, Roma. Papalina e bigotta, sacra e anticlericale, è l'altra grande protagonista: dalla basilica di Sant'Andrea della Valle a Palazzo Farnese fino a Castel Sant'Angelo, fra quinte mobili e tapis roulant. C'è tutto, forse troppo: le gigantesche ali di San Michele spezzate sotto il peso del potere temporale della Chiesa, e cripte, cappelle, affreschi giganteschi, altari... L'effetto è grandioso, da film. La città è ottocentesca, onirica, onnipresente. Movimenti scenici e sospensioni. Macchinari teatrali e nuove tecnologie. E allo spettatore sembra di entrare nella scena. Ci si infila, ci gira attorno. Ci si perde, ma per ritrovarsi in una storia immortale.

Poi, certo: Tosca poteva anche finire matta, ma drammaturgicamente è meglio suicida.

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