Roma

L’indecisione del dittatore: Stalin in crisi di fronte al nudo

Sotto i riflettori il corpo. In movimento o immerso nella natura. Dietro l’obiettivo i più celebri fotografi russi del secolo scorso, autori dei 71 scatti che danno vita alla mostra Nudo per Stalin, allestita nella sala Santa Rita fino al 14 febbraio. Ad animare il percorso espositivo sette grandi pannelli che con immagini a colori e in bianco e nero si pongono l’obiettivo di spiegare la trasformazione iconografica del corpo, dalla seconda metà degli anni Venti, fino al culmine del regime stalinista degli anni Trenta. E l’aspetto che più colpisce i visitatori è il contrasto fra le fotografie della metà degli anni Venti che prendono in esame il corpo attraverso lo sguardo voyeuristico e affezionato dell’ammiratore e quelle del decennio successivo nelle quali il corpo è visto con lo sguardo opportunistico e distaccato dell’ufficialità, nella socializzazione delle parate e trasformato da soggetto a oggetto di propaganda. La mostra si apre con gli scatti dei pitturalisti russi, diventati famosi prima della rivoluzione e impegnati nello studio del movimento: spazio allora ai lavori di Jurij Ermin che inserisce la figura umana organicamente nel contesto della natura incontaminata; di Nikolaj Sviscov-Paola che invece si concentra sulle questioni legate ai valori plastici del corpo e alle diverse soluzioni artistiche rese possibili dall’illuminazione, o ancora agli scatti di Grigorij Zimin che si rifanno alle pose della scultura classica, e infine a quelli di Nikolaj Vlas’evskij che come tema ricorrente hanno le esercitazioni ginniche. Negli anni Trenta le raffigurazioni dei nudi hanno suscitato scandali e censure, ma il tema del corpo e del nudo è sopravvissuto anche all’epoca di Stalin attraverso le piramidi umane e le posizioni ginniche a scopo coreografico per le grandi parate volute dal regime. Esempi ne sono le foto di Rodcenko o di Ignatovich dove il corpo diveniva «ornamento» delle gigantografie del dittatore.

In più l’esposizione è arricchita da lettere autografe del fotografo Aleksandr Grinberg, rinchiuso in un lager per aver infranto le disposizioni di Stalin in materia di nudo.

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