Controstorie

L'"invasore americano" tanto amato dai francesi

Gli assalti a McDonald's di 20 anni fa hanno spinto il colosso a piegarsi e a usare il 75% di prodotti locali

L'"invasore americano" tanto amato dai francesi

Da un assalto in cacciavite a un sodalizio tra i più invidiati nel mondo. Quello tra McDonald's e la Francia è l'esempio più strano di come possano cambiare i rapporti di forza, in politica come negli affari. Perché alla fine Ronald ha sedotto i francesi e perfino i verdi allevatori che volevano rispedirlo in America nell'agosto '99.

Ci sono voluti vent'anni di strategie, marketing e prodotti locali per scrollarsi di dosso l'etichetta di invasore. Tribunali, manifestazioni e un leader che parlava come mangiava: cioè francese. Era infatti il 12 agosto '99 quando José Bové - l'allevatore diventato star - affibbiò a «McDo» l'etichetta di padre della «malbouffe», la cattiva alimentazione. Scosse le coscienze dei cugini ma oggi 54mila produttori francesi lavorano col marchio statunitense.

Possibile? Quell'assalto al cantiere McDonald's di Millau, smantellato a colpi di cacciavite nel sud (Aveyron), col tempo ha aiutato entrambe le parti. Vent'anni dopo il blitz di Bové e soci, il colosso americano del fast food è diventato di gran lunga protagonista della ristorazione commerciale d'Oltralpe «con un fatturato di 5,1 miliardi di euro nel 2018 per quasi 1.500 ristoranti», osserva il quotidiano Les Echos.

Per rompere con l'immagine di colonizzatore americano che voleva vendere «cibo spazzatura» nella campagna francese (all'epoca in guerra con gli States per i dazi sul Roquefort), «McDo» ebbe l'idea di fare scorta nell'Esagono, piegando gli agricoltori alla Realpolitik. «Siamo fortunati ad avere un Paese agricolo forte, quindi cerchiamo il più possibile di fare provviste di origine francese», spiega a France 3 Remi Rocca, direttore degli acquisti di McDonald's France, consapevole che l'origine dei prodotti è argomento che conta nel paese dei mille formaggi.

Denis Hennequin, ex direttore di McDonald's Europe, commenta il cambio di prospettiva con una certa ironia: «Indubbiamente, José Bové ci ha fatto un favore. Ci ha costretti a pensare al nostro posizionamento». Ronald ringrazia.

A vent'anni di distanza non rischia più di essere distrutto: «McDo», come lo chiamano in Francia, c'è ancora nell'Aveyron. Non la scritta «Roquefort d'abord, McDo go home», comparsa sui muri del cantiere nel '99. Un lontano ricordo. Come le udienze davanti ai giudici, i processi che ne seguirono con l'incarcerazione di Bové, le migliaia di simpatizzanti. Il 30 giugno 2000, l'allevatore e i suoi co-imputati comparirono infatti in primo grado proprio a Millau. Maxi-concerto di solidarietà con Francis Cabrel, Noir Desire, Zebda. Slogan e qualche bandiera data alle fiamme. Diverse migliaia di No McDonald's si riversarono nell'Aveyron nonostante il marchio fosse presente in Francia dal '72. Ma non in campagna.

L'allora premier Lionel Jospin difese Bové parlando di «causa giusta» e il magazine americano Business Week inserì l'allevatore tra le «50 personalità che assumendosi importanti rischi hanno saputo impersonare il nuovo dinamismo europeo».

Oggi l'etichetta di «malbouffe», quella cattiva alimentazione tanto osteggiata da Bové (propagandata al solo scopo di guadagnare avvelenandoci e impoverendoci, diceva) ha lasciato spazio all'era del French food by McDonald's. Panini e ricette tradizionali, insalate pensate partendo dai gusti francesi e - almeno sulla carta o nei volantini promo - dalle disponibilità stagionali di agricoltori e allevatori d'Oltralpe. Il 75% dei prodotti venduti nei 1.500 McDonald's di Francia è infatti di provenienza locale. Cifra che arriva al 100% per le patatine fritte con un prezzo garantito per tre anni concordato con i produttori: protetti dal saliscendi dei mercati, la fiducia via via è diventata reciproca.

Dal 2011, «McDo» ha perfino abbandonato il suo tradizionale colore rosso (ancora utilizzato in altri Paesi) a favore del verde, giocando sull'aspetto «terroir», che rivendica sul suolo francese; come i prodotti con il marchio «Charolais». La strategia di marketing consiste nel dichiararsi difensore dell'agricoltura transalpina (e non avversario, come in passato), al punto da offrire ai clienti visite gratuite alle fattorie dei fornitori. Un successo anche la mappa dell'agroecologia, cioè la richiesta di pratiche meno inquinanti e più etiche.

«Alla sbarra non andremo noi, ma l'arroganza delle multinazionali. E noi, gli imputati, saremo i giudici di chi ci accusa», gridava Bové. Il 19 giugno 2002 fu condannato: andò in prigione in trattore, accompagnato da un migliaio di simpatizzanti nel carcere di Villeneuve-lès-Maguelone (Hérault). Tenendo conto dei 19 giorni già scontati nel '99, fu rilasciato il 1° agosto. Il Wto, diceva, ha alzato un nuovo ordine mondiale: «L'80% degli aiuti Ue vanno solo al 20% delle imprese. Si sostengono solo grandi aziende. Vogliamo che l'agricoltura sia di vocazione: cioè che ogni Paese possa fare le proprie scelte e seguire le proprie tradizioni». Alla fine si è trovato un compromesso in casa. Salvo rari episodi, gli slogan contro la «McDomination» in Francia sono finiti. Pezzi di una storia che è riuscita ad alterare il dna del gigante americano fino a correggere il suo approccio. Nel 2018 sono state infatti acquistate 25.504 tonnellate di carne bovina sul suolo francese.

E anche i nuovi McDonald's di design (firmati da un'italiana, Paola Navone) testimoniano il legame strettissimo che Ronald ha intessuto con la Francia che vent'anni fa voleva smantellarlo.

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